Questa casa è un paese

Elena sta per aprire in Calabria un centro per malati di demenza unico nel suo genere. Riproduce un borgo, con edicola, ristorante, giardino, animali. “Malgrado la memoria che va a intermittenza, chi soffre di Alzheimer ha ancora così tanto da offrire. Che diritto abbiamo di annullare la sua dignità?

Cesare suona bene la fisarmonica ma riconosce a stento i figli e gli capita di perdersi per strada. Dina è una campionessa di proverbi e intona spesso Un’ora sola ti vorrei, credendosi una teenager. Ciccina non ha paura nel cucinare il morzello, lo spezzatino tipico di Catanzaro, ma ha la memoria che va a intermittenza. La sua come quella di tutti i “miei” anziani speciali, con la mente offuscata dall’Alzheimer, E’ per Cesare, Dina, Ciccina e gli altri “amici” che aprirò presto un luogo speciale: una Casa-Paese che riproduce un vero borgo, basata su libertà e conforto, una alternativa alla Rsa. L’Alzheimer infatti, per quanto terribile, non può annullare la dignità di persone che hanno ancora tanto da offrire. 

LA CURA DELL’ANIMA

Ho l’accudimento nel Dna, forse per la mia storia familiare. Mia madre faceva la portantina in un istituto di lungodegenza, con turni anche di notte. Mio padre era autista di camion, sempre in giro per l’Italia. Non potevano permettersi una baby-sitter e al contempo, avendo perso due figli prima di me, erano super protettivi. Spesso andavo al lavoro con mamma, in quel reparto dove c’erano solo donne anziane e non più autosufficienti. Facevo lì i compiti, restavo finché mamma smontava. Da bambina, in realtà, immaginavo che da grande avrei fatto la pediatra. Oggi, a 56 anni, sono una terapeuta espressivo corporea, ma quando mi chiedono cosa faccio preferisco rispondere “imprenditrice della cura dell’anima”.

DA GIORNALISTA A FARFALLA

Per anni lavoro come giornalista, fino a quando assecondo un bisogno che bussava nel mio cuore, quello di dedicarmi al sociale e all’assistenza delle persone fragili affette da demenza. Così nel 2002 fondo a Catanzaro la Ra.Gi. Onlus, che prende il nome dalle iniziali dei miei figli, Rachele e Giuseppe. Proprio per l’Associazione mi trovo a fare una raccolta dati sui bisogni delle famiglie. In una residenza per anziani incontro la signora Lucia. E’ in una stanza dai muri verde acido, su una sedia a rotelle, insieme alla sorella. Entrambe hanno i capelli bianchi, lisci, e un’eleganza innata. “Hanno l’Alzheimer”, mi avvertono i sanitari, “sputano, picchiano, vogliono essere lasciate in piace”. Lucia, aggiungono, era una pianista con la passione per Giuseppe Verdi. Mi accuccio sulle sue gambe e, rapita dalle sue mani rugose ma affusolate, intono Libiamo ne’  lieti calici dalla Traviata, mentre le faccio accarezzare la mia testa. Lei mi prega di aiutarla ad aprire “quella porta”, da sola non ce la fa. L’infermiera presente mi guarda sbalordita: “E’ la prima volta che la signora parla senza livore”. Lucia aveva solo bisogno d ritrovare quella libertà che forse la Rsa le negava, di riconnettersi con la musica. Da lì capisco che la mia penna da giornalista non basta più e che se ciascuno muove un passo concreto per gli altri, fa opera buona. “Se una sola farfalla sbatte le ali, cambia l’aria di tutto il mondo”, recita un proverbio indiano.  Non esito più: accanto alla scrittura, che continuo ad amare, devo occuparmi di chi soffre di demenza con più impegno. Apro il Centro diurno Al.Pa.De, con l’obiettivo di umanizzare le vite di queste persone attraverso un approccio nuovo, che considera terapeutico il territorio. Sulla Sila a Cicale, paese di 900 anime, inauguro poi il centro diurno Antonio Doria, con cui do vita in Calabria al primo Borgo amico delle demenze. Qui quando i malati entrano nei negozi, parlano con i bimbi delle scuole o impastano il pane insieme al fornaio, sono sempre affiancati da un operatore che, con discrezione, supervisiona. Entrano così a far parte della comunità e riprendono le attività, semplici e quotidiane, che per molti di loro erano diventate montagne troppo alte da scalare.

PRIMAVERA DI RINASCITA

Il lockdown è durissimo, per le difficoltà economiche e l’incertezza sul futuro. Siamo costretti a chiudere per due mesi. “E ora”?, mi chiedono le famiglie che hanno in casa un malato di Alzheimer. Il dolore più grande, per loro, non è tanto la progressione della malattia, quanto il non riuscire a gestire il disturbo. Quindi finiscono spesso con l’inserire il proprio caro in una struttura dov’è considerato solo un problema. Devo agire, e la Provvidenza ci mette lo zampino. Il Comune di Cicala mette a bando uno stabile di 800 metri quadrati che la mia Associazione si aggiudica. L’idea di borgo che si trasforma in comunità-alloggio per i malati di Alzheimer diventa finalmente concreta. La Casa-Paese sarà inaugurata il 21 marzo, l’inizio della primavera, data simbolo della rinascita per 16 persone. Sarà un ambiente domestico, con strutture in legno che riprodurranno negozi di paese come edicola, bar, fiorista e fruttivendolo. Al posto della mensa, un ristorante dove gli ospiti potranno mangiare anche con i familiari. Ci saranno piazze, viali, il cinema e un “giardino della memoria” con un percorso sensoriale e uno di terapia con gli animali. A fare da perimetro, il “muro del dono”, rivestito di piastrelle con su scritti i nomi di chi ha dato una mano.

LA LOTTA AI PREGIUDIZI

La generosità è stata tanta, visto che la Casa-Paese sara costruita solo attraverso il crowdfunding, ma sono state tante anche le difficoltà. Come quando il mio profilo sui sociale, dopo un servizio in una nota trasmissione TV, è stato violato, bloccando per un po la raccolta fondi. O quando pur di andare avanti, mi sono privata dello stipendio per mesi. La mia Calabria, poi, non è una terra facile, ha una sanità disastrata. Ma gli ostacoli quotidiani sono soprattutto culturali. Non è semplice far capire che la demenza non trasforma le persone in gusci vuoti, e non colpisce solo gli anziani. Il mio paziente più giovane ha meno di 40 anni. I malati sono al tempo stesso la mia sfida e la mia forza. Da loro c’è solo da imparare. C’era una signora, per esempio, che riordinava sempre sette paia di scarpe. Scavando nella sua storia ho scoperto che quelle calzature rappresentavano i setti aborti subiti per colpa del marito violento.

Per capire basta mettersi in ascolto. Con le orecchie e con il cuore.

di Vania Crippa

(Fonte  F – Settimanale n.52 | Rubrica DONNE CORAGGIOSE)