Professione: malgara. Chi sono le donne che scelgono di diventare “custodi della montagna”

Così le racconta Danilo Gasparini, professore di Storia dell’Agricoltura e di Storia dell’alimentazione all’Università di Padova, ideatore, quattro anni fa, della masterclass “I Custodi della Montagna” presso la Scuola Internazionale di Formaggi di Alte Imprese. Lezioni teoriche e pratiche che si rivolgono a chi già lavora in montagna ma anche a chi vuole cambiare vita e iniziare a farlo fornendo un approccio imprenditoriale, sostenibile e multifunzionale. «Fin dalla prima edizione mi ha stupito il numero di donne tra i corsisti. Quello delle nuove malgare e casare è un fenomeno che riguarda tutta Italia: storie bellissime in cui i lavori della montagna si accompagnano a valori nuovi, come la tutela dell’ambiente e della biodiversità». Imprenditrici che all’allevamento in alpeggio abbinano altre attività. Come accoglienza, ristorazione e foraging, ovvero la raccolta di frutta, bacche, erbe aromatiche e selvatiche commestibili.

Irene Piazza, casara a 1500 metri di altezza

Tra loro, Irene Piazza, nome molto noto nel mondo caseario, che ha avuto Gasparini come professore e che oggi lavora al suo fianco nella masterclass. Si occuperà lei, a giugno, della tre giorni di formazione esperienziale presso la Malga Telvagola sul Passo del Brocon, progetto di coraggio e resistenza a oltre 1500 metri di altitudine (nel comune di Pieve Tesino, TN). È la malga che Irene gestisce insieme ad Anna Sarcletti: «Due ragazze che mungono le vacche e guidano il trattore? Ebbene sì, è incredibile quanto per le persone che ci incontrano sia difficile da credere, si aspettano sempre che ci sia un uomo da qualche parte. E invece no, ci siamo solo Anna e io». Allevano vacche di razza Grigio Alpina, razza bovina antica e agile. E producono formaggi a latte crudo, che permette di preservare le vitamine, il calcio, i batteri lattici autoctoni e la vitalità del latte. Con lattoinnesto e stagionati nella grotta a pochi passi dai pascoli e dalle vigne.

«Quando mio padre mi disse: tu fai il formaggio»

Figlia di un agricoltore di Feltre, Belluno, Irene Piazza fa formaggi da quando aveva 16 anni. «Quando mi chiedono se ho sempre avuto questa passione rispondo di no: ho iniziato per necessità, quando mio padre prese in affitto questa malga. Studiavo al liceo pedagogico e avevo un’allergia al fieno, in stalla non ci potevo stare. Mi dissero “tu fai il formaggio” e cominciai. La prima estate fu terribile. Iniziai a prenderci gusto col tempo: mi sono appassionata alla complessità della trasformazione, alla microbiologia, al processo con cui il latte diventa formaggio. E se oggi amo il mio lavoro è perché amo il modo in cui lo faccio io».

Benessere animale e tutela della montagna

E cioè con un approccio agro-ecologico rigoroso e molto attento al benessere animale. Quello di Irene Piazza è un mondo in cui, per esempio, i vitelli e le vitelle non vengono separati dalla mamma quando nascono, come avviene di norma, ma passano le giornate al pascolo con lei, che li allatta e insegna loro come muoversi sui differenti terreni ed altitudini. Un mondo in cui, in inverno, le vacche pascolano a valle, nelle vigne della “signora” dei vini biodinamici, Elisabetta Foradori. E in cui, comunque, la sveglia suona ogni mattina all’alba, tutti i giorni. «Penso di vivere in una bolla in cui posso fare le cose come voglio. Ma non è una vita facile: questo deve essere chiaro a chi si improvvisa. Chi lavora in malga è un “custode del limite”: non puoi spianare la montagna, o i boschi, devi misurarti con loro».

Le donne che scelgono la montagna come piano B?

Questo senso della montagna è tra gli insegnamenti che Irene si impegna a trasferire nella masterclass: «Il corso è una grande infarinatura di tutto quello che serve per fare questo lavoro: una tappa importante di un percorso che ciascuno fa in autonomia». Ci sono lezioni di economia, di zootecnia, di microbiologia, di tecniche casearie. «La maggior parte di chi le frequenta lo fa con coscienza, perché vuole sviluppare l’azienda di famiglia o perché vuole cambiare vita, ma con la consapevolezza di ciò che significa. C’è poi anche chi ha un ideale di vita montana idilliaca, di aria buona e camminate con le caprette che non corrisponde alla realtàSiamo imprenditrici, non villeggianti. Io, per esempio, di camminate così ne avrò fatte dieci in tutta la vita». Come scrive nel bellissimo post qui sotto, si dovrebbe “Uccidere Heidi senza mai perdere la bellezza”.

La sfida della malga nel 2024

La sfida della malga è ambiziosa, è chiaro, e può essere molto frustrante: non solo bisogna gestire gli animali e produrre qualità. Bisogna anche saperla raccontare e vendere. «Vedo che ci riescono meglio le imprenditrici che fanno accoglienza. E questo perché le persone sono più disposte a muoversi per mangiare, e una volta a tavola assaggiano i formaggi e il gusto parla per noi. Vedono le vacche con i loro occhi e quello che raccontiamo ha un altro peso: capiscono perché chiediamo un prezzo più alto per il nostro lavoro».

 Un lavoro che non solo genera prodotti con qualità organolettiche uniche. È anche un servizio per il territorio di valore inestimabile. Per la salvaguardia del paesaggio montano e della biodiversità, come argine dall’avanzata del bosco ma anche per la sicurezza di chi sta a valle. «La verità è che la vacca fa sì che la montagna stia in piedi». Anche per questo l’abbandono degli alpeggi, fenomeno drammatico sulle nostre Alpi, è un problema che riguarda tutti.
Agnese Varaldo e il sogno di un’azienda tutta sua

Irena Piazza, a soli 28 anni, ispira tante altre ragazze. Come Agnese Varaldo, 26 anni, piemontese della provincia di Cuneo che, per amore della vita in montagna, si è fatta adottare dal paesino di Tramonti di Sopra, 271 abitanti e pochissimi servizi nel Parco Naturale delle Dolomiti friulane.

«Mio padre era un dirigente in Alpitour, mia madre gestiva un’azienda di pulizie. Nessun allevatore tra i miei nonni. Ma io ho scelto di occuparmi di animali: dagli studi universitari, a Torino, al tirocinio, in un allevamento semi estensivo in alta montagna: lì ho capito che la vita che volevo era così, nella pace della natura, nella fatica fisica e nella serenità interiore».

Oggi Agnese lavora in un caseificio in pianura ma ha appena comprato una stalla e un ettaro di terreno. «Per giugno spero possa arrivare la prima mucca». Un sogno che si realizza a passi lenti, una lentezza dettata soprattutto dalla burocrazia. «Gli incentivi ci sono, ma sono soprattutto per chi ha un’attività già avviata. Io ho chiesto, banalmente, un prestito in banca. E continuo a lavorare come dipendente, in attesa di potere davvero mettere su la mia azienda. Sogno una vita di levatacce, fatica e ritmi diversi, dettati dal sole e dalla natura. Una vita senza ansie e stress: perché fanno male agli animali, che poi non fanno più il latte. Ma fanno male anche a noi».

22 Marzo 2024
(Fonte IO DONNA |CORRIERE DELLA SERA)