Il Randagismo in Serbia è un fenomeno di enorme entità. Dal 2012, però, il paese ha iniziato il processo di annessione all’UE, che richiede il raggiungimento di standard in ambito di tutela di benessere e salute animale, ma anche di gestione delle popolazioni canine vaganti.
Nel dicembre del 2009 la Serbia ha presentato la domanda di ingresso nell’Unione Europea e, nel marzo 2012 ha ottenuto lo status di paese candidato. A partire da quel momento sono iniziati i negoziati di adesione che riguardano le politiche economiche e sociali, ma anche il raggiungimento di alcuni standard in tema di benessere animale, sanità animale e gestione delle popolazioni canine vaganti.
Per questo motivo, tra il 2020 e il 2022 è stato attuato un progetto europeo chiamato “Reinforcement of animal health and welfare”, ovvero un piano di intervento che prevede, tra le altre cose, l’attuazione da parte della Serbia di strategie efficaci per il controllo delle popolazioni di randagi e include programmi di sterilizzazione, di adozione consapevole, di educazione alla gestione responsabile e alla cura degli animali da allevamento e domestici.
«Le soluzioni al problema si trovano in una sensibilizzazione alla proprietà responsabile, alla registrazione attraverso microchip e all’adozione dei soggetti abbandonati. I cittadini devono iniziare a trattare i propri animali in modo adeguato e devono avere il controllo sulla loro riproduzione», ha affermato in occasione della presentazione del progetto la coordinatrice, Maja Andrijasevic.
In qualità di medico veterinario esperto in comportamento, benessere animale e gestione del randagismo, al progetto ha collaborato anche Laura Arena, membro del comitato scientifico di Kodami. «Ancora oggi la situazione rimane critica e, sebbene le grandi città (in particolare Belgrado), mostrino i primi passi avanti soprattutto per quanto riguarda la convivenza responsabile e il processo di sterilizzazione, appena ci si avvicina alle zone rurali, il numero di cani randagi e le condizioni di maltrattamento aumentano, così come il tasso di smarrimento e abbandono», commenta l’esperta.
«Non bisogna dimenticare, inoltre, che si tratta di un paese in cui la rabbia silvestre è endemica e il tema del randagismo, quindi, oltre a riguardare da vicino il benessere, è strettamente legato anche alle dinamiche di salute animale e umana», spiega Arena.
Il processo di adeguamento agli standard richiesti però sarà lungo e i risultati della strategia si vedranno in futuro e, in particolar modo, se le amministrazioni seguiranno le indicazioni del progetto. Nel frattempo sono nate diverse associazioni locali, che operano trovando famiglie adottanti per i cani in condizioni di sofferenza. Una di queste si chiama “Sos – salviamo i cani della Serbia” e la sua presidentessa è Renata Jerkovic, che è nata in Serbia ma da anni vive in Italia: «L’idea della convivenza con i cani in nei Balcani è ancora oggi estremamente diversa rispetto a quella a cui siamo abituati in Europa occidentale. I tassi di maltrattamento e abbandono sono elevatissimi e non ci sono controlli sufficienti per evitare che ciò continui ad accadere – spiega a Kodami la volontaria – Le leggi attive sono ancora ancora poche e quelle che ci sono vengono rispettate solo parzialmente».
La Serbia infatti, è un paese in cui la cattura dei randagi con l’obiettivo della sterilizzazione è ormai implementata nel sistema ma, in seguito all’intervento, spesso, i cani vengono poi trasferiti all’interno dei canili che, secondo quanto raccontato da Jerkovic, versano in condizioni terribili e non possono assicurare in alcun modo una vita dignitosa ai cani: «Sono strutture fatiscenti paragonabili ai peggiori canili lager di cui si parla in Italia, dove i cani in eccesso vengono uccisi e nessuno può entrare – spiega – Proprio per questo motivo, se possibile, sono gli stessi volontari che coprono le spese di sterilizzazione e reimmissione sul territorio».
L’associazione di Jerkovic, da oltre 10 anni si occupa di trovare possibili adozioni in Italia per i cani nati nel paese balcanico: «Purtroppo in Serbia sarebbe impossibile svolgere un percorso di preaffido come lo facciamo qui. Non esiste il concetto di adozione consapevole e le persone si rifiuterebbero di aprire un dialogo con chi conosce il cane e vuole verificare l’effettiva adottabilità – afferma la volontaria – Inoltre, i costi della vita sono molto elevati e gli stipendi sono più bassi rispetto all’Italia. Per questo motivo non tutti possono permettersi di accogliere un cane in casa».
In Italia Renata Jerkovic non lavora da sola, ma collabora con Eleonora Realini, anche lei volontaria, che si occupa da anni di individuare le famiglie adeguate e svolgere i controlli di preaffido: «Prestiamo particolare attenzione quando si tratta di cani di razza – afferma Realini – In Serbia, infatti, vivono in strada anche Bassotti, Golden Retriever o altri cani di razza provenienti da cucciolate indesiderate. Il rischio, però, è che qualcuno desideri questi cani solo per risparmiare rispetto all’acquisto presso un allevamento italiano».
L’adozione, inoltre, non viene effettuata in tutta Italia, ma solo nel Nord Est: «In caso contrario il viaggio sarebbe eccessivamente lungo e causerebbe troppi disagi agli animali, che devono superare frontiere e vivere un’esperienza già potenzialmente traumatica. Dopo la Pandemia, inoltre, è diventato ancora più difficile viaggiare e ciò ha causato una diminuzione delle adozioni – conclude Realini – Quello che facciamo, purtroppo, è solo una goccia nel mare, in un contesto in cui c’è molta cattiveria e troppe persone sono ancora convinte che i cani siano privi di sentimenti».