Perché siamo una società che abbandona gli animali? Il paradosso italiano: cuccioli «ricchi» alla spa e canili pieni

Al Sud proliferano le cucciolate di randagi e casalinghe, al Nord non c’è randagismo ma i canili si riempiono di molossoidi e pitbull. «Serve rendere strutturale la sterilizzazione». Cresce  anche l’abbandono di specie non convenzionali. Il convegno al Pet Welfare Forum 

Francesca Capodogli, avvocata specializzata in casi legali che hanno per (s)oggetto gli animali, lo definisce il paradosso della nostra società: gli animali domestici hanno un ruolo sempre più riconosciuto e non sono mai stati al centro dell’attenzione, anche da parte delle istituzioni, tanto quanto lo sono oggi. Come si spiega allora che non ci sia la capacità di contrastare il fenomeno degli abbandoni, ancora molto presente seppure in modo differenziato nelle diverse zone del Paese?

Se n’è parlato nella prima giornata del Pet Welfare Forum, la tre giorni dedicata al mondo pet che ha preso il via oggi al Melià Milano. I comuni italiani spendono ogni anno circa 180-200 milioni di euro per il mantenimento di cani e gatti nei rifugi. Un impegno considerevole, che incide parecchio sulle disponibilità di bilancio dei sindaci che potrebbero utilizzare quei soldi diversamente. Ma mentre nel Centro e nel Nord Italia il fenomeno del randagismo è ormai a livelli minimi, nel Sud la proliferazione incontrollata è una realtà di proporzioni preoccupanti.
 
«I canili sono al collasso e sono pieni di animali la cui adozione non è facile – conferma Manuela Michelazzi, direttore sanitario del Parco canile di Milano -. Molossoidi e terrier di tipo bull aumentano in modo vertiginoso e questo significa ridurre le capienze, perché gli esemplari più problematici devono necessariamente essere tenuti in box singoli». Lo stesso canile  del capoluogo lombardo, per dire,  potrebbe ospitare fino a 200 cani, ma di fatto non si riesce ad andare oltre i 150 per i problemi di cui sopra. «Sono aumentate le richieste di cessione – dice ancora Michelazzi – e non sono rari i casi di abbandono in struttura, magari dopo quello che avrebbe dovuto essere un passaggio temporaneo per fare fronte a momenti di necessità, una possibilità prevista dalle norme». Quello che non è previsto è che poi nessuno torni a riprendere il cane o il gatto dopo il periodo concordato.  I proprietari rinunciano ai loro animali perché hanno reali difficoltà economiche, perché si trovano ad affrontare malattie, perché finiscono in prigione o si ritrovano senza casa. Ma anche, spesso, perché si rendono conto di non essere più in grado di gestire un cane scelto con troppa leggerezza. Soprattutto se di razze o tipologie impegnative. 

«Accade più spesso di quanto si pensi – aggiunge Paola Fossati, garante per gli animali del comune di Milano – e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ma non parliamo solo di cani o gatti. È qualcosa che riguarda anche specie non convenzionali, come le tartarughe d’acqua o altri anfibi. Nei giorni scorsi, per esempio, ci è stato segnalato lo sversamento di gamberi della Luisiana in uno stagno». Rilasci in natura che a volte vengono effettuati con l’idea che l’animale, diventato «scomodo» in casa, essendo ormai cresciuto se la possa cavare anche da solo all’esterno. Quando questo avviene davvero, e non è detto che avvenga perché animali cresciuti in cattività potrebbero non avere la capacità di sopravvivere da soli, il rischio è una proliferazione di specie che non sono originarie del territorio e che quindi possono diventare invasive.

«Nelle città persone e animali vivono in stretta connessione – commenta Sara Turetta, fondatrice e presidente di Save the Dogs,  associazione che ha avviato il progetto “Amici di strada, compagni di vita” per dare un sostegno agli animali che accompagnano i senza fissa dimora e che porta avanti progetti per aiutare le famiglie a basso reddito -. I cani dei ricchi vanno alla spa e dal personal trainer, quelli dei poveri tirano a campare come i loro proprietari e non hanno accesso alle cure sanitarie. Ogni giorno riceviamo segnalazioni di persone che vorrebbero cedere i propri cani perché non hanno più la possibilità di occuparsene». Il punto, per Turetta, è fondamentalmente uno: bisogna fare i conti con una realtà di sovra-popolazione. «Per molteplici ragioni – evidenzia – ci sono troppi cani e troppi gatti. Le istituzioni devono rendere le sterilizzazioni strutturali, coinvolgendo tutti i proprietari e mettendoli in condizione di effettuare gli interventi gratuitamente o a costi ridotti. Il rischio, in caso contrario, è che prima o poi qualcuno torni a chiedere l’introduzione dell’eutanasia per gli animali dei canili che non vengono adottati, una pratica che per fortuna l’Italia ha vietato dagli anni 80 ma che in molti Paesi è ancora in vigore».

Le associazioni animaliste provano ad effettuare anche campagne estemporanee per la sterilizzazione. «Quando lo facciamo con i nostri mezzi mobili – racconta Meir Levy, medico veterinario dell’ENPA  nazionale – sono in molti a mettersi in coda, anche persone con cani all’apparenza benestanti, segno che la volontà è soprattutto quella di approfittare del servizio gratuito. Ma per quante ne possiamo fare, dando una boccata di ossigeno in territori con una grande pressione, la produzione di cuccioli soprattutto al Sud è talmente alta da rendere gli interventi poco incisivi». E non sono solo i randagi a riprodursi a dismisura. «Ci sono troppe cucciolate casalinghe, i cui cani vengono venduti o regalati – dice ancora Levy –. E poi ci sono gli accumulatori seriali, affetti dalla cosiddetta sindrome di Noé, che ritengono di dover salvare gli animali e se ne portano in casa un grande numero, favoriti dalle leggi regionali che non hanno prescrizioni adeguate, consegnandoli però a una vita da reclusi in case o strutture non idonee e nutrendoli in modo non appropriato, avendo così tante bocche da sfamare».

Il tema della sterilizzazione generalizzata apre il campo a dubbi di tipo etico, considerando che si toglie ad animali sani la possibilità di vivere appieno la propria vita sessuale. E anche se molti studi individuano molti benefici per la salute che derivano da questi interventi, come la minore incidenza di alcuni tumori, altre ricerche mettono in guardia sui rischi a lungo termine di patologie connesse proprio alla modifica del processo ormonale.

C’è infine la questione delle cucciolate importate dall’estero, in particolare da Paesi dell’Est europeo dove le riproduzioni avvengono spesso in fattorie non ufficiali, senza troppo guardare alla genetica, alle norme igieniche, ai bisogni dei cuccioli. Che però hanno costi bassi e vengono dunque acquistati all’ingrosso da intermediari interessati solo al guadagno e poi smistati da noi attraverso diversi canali. Servirebbe una regolamentazione seria e coraggiosa, hanno chiesto praticamente all’unisono i partecipanti al panel, perché oggi le forze dell’ordine riescono a fermare solo una parte dei traffici e in ogni caso si tratta di cani che essendo stati strappati anzitempo alle madri e spesso non sottoposti a vaccinazioni e controlli veterinari rischiano di ammalarsi o di crescere con caratteristiche caratteriali problematiche. «Anche a Milano però – mette in guardia Michelazzi – facciamo i conti con cucciolate casalinghe realizzate senza controlli e senza le dovute capacità, soprattutto di molossoidi. Che sono particolarmente richiesti, anche perché attraverso questi circuiti sommersi risultano molto convenienti. Sono però proprio quelli i cani che sviluppano le maggiori problematicità». E si ritorna al punto di partenza: «Quei cani li conosciamo bene, purtroppo sono sempre i primi candidati ad essere ospiti in canile. E a restarvi a lungo perché poi nessuno li vuole». 

di Alessandro Sala

16 Ottobre 2024

(Fonte IL CORRIERE DELLA SERA | Animalia)