Eo, l’asino che voleva essere libero. Ovvero la nostra (dis)umanità con gli occhi di un animale
Esce nelle sale il film «animalista» di Jerzy Skolimowski, premio della Giuria all’ultimo Festival di Cannes. Il lungo viaggio dalla Polonia all’Italia di un somarello che non si rassegna alla prigionia
Ma gli animali sono esseri senzienti anche se non sono piccoli e graziosi, se non vivono nelle nostre case e se non hanno accesso al nostro letto e al nostro divano. Ed è questo il messaggio che scaturisce dal film del regista polacco Jerzy Skolimowski, che all’ultimo Festival di Cannes, dove tornava dopo 7 anni, ha presentato una pellicola «animalista», che si è guadagnata il premio della Giuria. Con i riflettori orientati tutti sulle «Palme» e con flash che scintillano sul red carpet, non si parla molto dei premi secondari, soprattutto se a conquistarli è un animale. A meno che, e si ritorna alla visione pet-centrica delle nostre società, che l’attore degno di lode non sia un cane, come nel caso del Jack Russel di The Artist, il film del 2011 di Michel Hazanavicius, che ha collezionato successi in tutti i principali festival e messo sotto i riflettori non solo gli attori protagonisti, ma anche il cane. Nel nostro caso, invece, il protagonista è un asino, un animale umile, da sempre utilizzato per il lavoro o destinato a diventare carne e salame e solo raramente considerato animale da compagnia (o adatto alla pet therapy, come si vede anche in una scena del film). Eo, dopo la chiusura del circo polacco in cui si esibiva, viene trasferito in una stalla da cui riesce a fuggire per un lungo viaggio che, di avventura in avventura, lo porta fino in Italia, incontrando e relazionandosi con personaggi di vario genere, fino ad un giovane sacerdote globetrotter con problemi di ludopatia che ha sperperato la ricchezza della sua famiglia. Il film esce nelle sale il 22 dicembre e della trama conviene, dunque, non raccontare altro.
Che quello di Skolimowsky sia un film animalista, anche se non dichiaratamente, lo si avverte in tanti momenti. Nell’incontro con i prigionieri in gabbia di quello che si può intuire essere un allevamento per pellicce (una volpe utilizzata nelle riprese è stata a sua volta salvata da uno di questi luoghi prima di diventare «attrice»), nella condanna all’utilizzo degli animali nel circo, nelle violenze gratuite che subisce Eo da parte di più di un essere umano. Ma anche nella semplice rappresentazione del viaggio a bordo di un camion bestiame, che lascia intuire la sofferenza degli animali trasportati vivi, ammassati gli uni agli altri in spazi angusti, una pratica contro cui le associazioni animaliste si battono ma che ancora non ha trovato sponde nei legislatori.
Eo è un animale innocente e al tempo stesso un testimone che fotografa il nostro vero essere. «Nel nostro mondo cinico e spietato – spiega Slolimowsky – l’innocenza può passare per ingenuità o può essere presa come segno di debolezza». Eo è invece un animale forte, che riesce a superare molte delle prove che gli si presentano davanti. «Io – dice ancora il regista, che riconosce di essere stato ispirato da Au hasard Balthazar film del 1966 di Robert Bresson che affrontava in parte gli stessi temi – cerco ancora di coltivare ciò che resta dell’innocenza in me».
di Alessandro Sala
20 Dicembre 2022
(Fonte IL CORRIERE DELLA SERA| Animalia)