A forza di utilizzarla, a proposito e a sproposito, l’espressione “benessere animale” si è svuotata del suo reale significato e dall’essere semplicemente il contrario di malessere, ossia una condizione psico-fisica negativa. E’ successa la stessa cosa alla nobile parola “ecologia”, ora utilizzata principalmente per definire oggetti o servizi.
I politici, e quindi i legislatori, sono stati incalzati da un’opinione pubblica che chiedeva un maggiore rispetto dei diritti e della dignità degli animali d’allevamento durante la loro vita, al momento del trasporto e alla macellazione. Già nel 2000 nel “Libro bianco sulla sicurezza alimentare” fu rappresentata questa sensibilità e stimolati i legislatori a prendere i più giusti provvedimenti. Il Ministero della Salute qualche tempo fa incaricò e finanziò la nascita del Centro di Referenza Nazionale del Benessere Animale (CReNBA) presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna (IZSLER), grazie al quale da circa 10 anni vengono realizzate una serie di check-list, chiamate semplicemente CReNBA, specifiche per specie animale e, nel caso delle vacche da latte, specializzate per la stabulazione fissa o libera. Negli anni sono stati formati e abilitati al loro utilizzo tutti quei veterinari che ne facevano richiesta. In questa lista possiamo trovare liberi professionisti e dipendenti dell’industria e di altre organizzazioni, sia pubbliche che private. Molte sono le aziende lattiero-casearie e della carne e i Consorzi di Tutela che hanno inviato a loro spese veterinari abilitati a valutare il benessere dei loro conferenti e dei loro associati. Pochi credo siano gli allevatori che spontaneamente, e a loro spese, hanno richiesto una valutazione CReNBA del proprio allevamento al fine di migliorare il benessere dei loro animali per fini economici o solo morali, e sarebbe utile accertarne in maniera costruttiva le motivazioni.
Ma perché l’industria e i Consorzi di Tutela si sono mossi con questa velocità e con questo dispiegamento di risorse? La risposta è semplice: perché l’opinione pubblica è sempre più intollerante nei confronti degli allevamenti e, partendo dalle fasce agiate e scolarizzate e dai giovani, sta sensibilmente rallentando gli acquisti di prodotti di origine animale. L’industria ha utilizzato ciò che era disponibile, ben sapendo che tradurre i risultati di una valutazione CReNBA in un claim sarebbe stato molto difficile, se non impossibile. In questo complesso e inedito contesto hanno comunque fatto bene a sottoporre a valutazione gli allevamenti. Questo sforzo, però, è servito a poco o nulla per rassicurare l’opinione pubblica e orientare i consumi, pur avendo sicuramente permesso di individuare, e spero segnalare, gli allevamenti dove gli animali soffrono davvero e dove in genere si soffermano il giornalismo d’inchiesta e le così dette associazioni animaliste. Dispongo di poche informazioni oggettive sull’argomento, e quindi mi auguro di essere smentito, ma nella fase di studio delle check-list del CREnBA mi sembra si sia scelto di prescindere da una profonda e complessa valutazione dell’etologia delle razze allevate e credo che il Centro di Referenza si sia poco, se non per nulla, confrontato con la comunità scientifica, le società scientifiche e i portatori d’interesse del nostro paese. Mi sembra che abbia prevalso il presupposto che sono gli animali che si devono adattare al tipo di allevamento che l’uomo ha scelto per loro e non viceversa. Questo spiega in parte perché, specialmente nelle stalle di bovine da latte, anche in quelle con punteggio nettamente superiore a 60, la longevità funzionale sia ancora molto bassa e per ottenere nuove gravidanze nei giusti tempi si debba ricorrere alle sincronizzazioni ormonali sistematiche. Nel frattempo, il Ministero della Salute, alle prese con la necessità di continuare a migliorare la gestione delle malattie trasmissibili degli animali, ed in particolar modo le zoonosi, e la salubrità degli alimenti, ha ideato uno strumento per la categorizzazione del rischio al quale ha dato il nome Classy Farm, nel quale sono migrate anche le check list del CReNBA. Attraverso questo strumento, secondo il Ministero, si può intervenire solo sugli allevamenti che presentano non conformità, o meglio rischi, ottimizzando i costi della sanità pubblica e superando la logica dei controlli a tappeto. All’interno di Classy Farm giungono dati provenienti dai canali istituzionali e quelli raccolti dai veterinari aziendali nell’ambito delle loro funzioni. A completare il tutto, la presentazione dello scorso anno del “Sistema di Qualità Nazionale per il Benessere animale”, iniziativa congiunta di “certificazione” nata dalla collaborazione tra i Ministeri delle Salute e delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e Accredia.
In teoria, tutto quello che ho fin qui descritto, in maniera ovviamente molto sintetica e incompleta, potrebbe forse migliorare l’epidemio-sorveglianza e la gestione dei farmaci veterinari in allevamento, e quindi rafforzare la già solida gestione italiana della salubrità dei prodotti di origine animale e razionalizzare l’utilizzo dei farmaci anche ai fini di contrastare l’antibiotico-resistenza. Pur tuttavia, ho dei dubbi che tutto ciò possa in qualche modo rassicurare la sensibilità etica dei consumatori nei confronti dei diritti degli animali d’allevamento e quindi migliorare la reputazione che le stalle hanno nell’opinione pubblica. Con il CReNBA e il Classy Farm l’aspetto burocratico della gestione del benessere e della salute degli allevamenti è stato in qualche modo risolto. Valutare e certificare un allevamento per il rispetto del diritto degli animali di fare una vita dignitosa richiede un grosso sforzo non solo tecnico ma anche culturale di comprensione della reale etologia delle razze che alleviamo al fine di produrre cibo. Si può immaginare un modo per rilevare il benessere psico-fisico non già dei singoli animali ma dell’intera comunità che vive nei nostri allevamenti. Per fare questo non si deve puntare sulla completezza ma sulla sintesi, e quindi su un Certificato Veterinario di Benessere Animale. Medici veterinari abilitati all’esercizio della professione e opportunamente formati possono redigere, e ne hanno tutti i titoli se non ci sono conflitti d’interesse, in maniera discorsiva questo certificato, come avveniva per il “certificato di sana e robusta costituzione fisica” della medicina dell’uomo. Sappiamo però che in un mondo che sta diventando sempre più diffidente, questo tipo di certificazione non basta. Per arrivare a questo il veterinario può, se ne ha la necessità, utilizzare una sua check list per la stessa ragione per cui ormai tutti i medici utilizzano cartelle cliniche dei pazienti. Una check list serve infatti ad un medico per aumentare il suo livello di attenzione nel raccogliere sintomi e non dimenticare nulla. Personalmente ritengo che, accanto ad un Certificato Veterinario di Benessere Animale, la classificazione del tipo di allevamento e la sua dichiarazione in etichetta possa concretamente e rapidamente dare elementi di rassicurazione al consumatore e aiutare a fugare il dubbio sul fatto che sia realmente disposto a pagare prezzi diversi a seconda del modo con cui gli animali vengono allevati.
Utilizzando il più facile esempio delle bovine da latte, le tipologie di allevamento che possiamo trovare in Italia sono:
- Allevamento estensivo (full outdoor): si tratta di bovine da latte che trascorrono la loro vita produttiva sempre all’esterno. Interagiscono con l’uomo e le sue attrezzature durante la mungitura, dove ricevono i concentrati, e quando ci sono interventi sanitari. Questo tipo di allevamento è possibile se la piovosità e le temperature sono tali da garantire un’adeguata crescita d’erba per tutto l’anno e un’escursione termica limitata. In Europa questa condizione la possiamo trovare in Irlanda. In Italia sono pochissime le aree che possono praticare questo tipo d’allevamento. L’allevamento estensivo si basa sul pascolamento per 12 mesi l’anno ed una ridotta integrazione alimentare di massimo 5 kg al giorno di concentrati somministrati durante la mungitura. Nelle pochissime zone vocate italiane, il carico di animali per ettaro può essere al massimo di due capi adulti. L’allevamento estensivo viene utilizzato come sinonimo di pascolo.
- Allevamento semi estensivo (partially outdoor): possiamo trovare questo tipo di allevamento nelle zone interne o marginali italiane sia del nord che del sud. Gli animali utilizzano il pascolo quando le condizioni climatiche lo permettono, e ciò avviene in genere per pochi mesi l’anno. Il resto del tempo lo trascorrono in stalle sia a stabulazione fissa che libera.
- Allevamento intensivo (partially indoor) su cuccetta o lettiera permanente con accessi all’esterno su paddock in terra, erbati o meno, o in cemento. Per questa tipologia di allevamento vanno date indicazioni precise sulla disponibilità minima di spazio per le corsie di alimentazione, le aree di riposo e i paddock esterni, e su quanti mesi l’anno essi sono accessibili.
- Allevamento intensivo (full indoor) senza accessi all’esterno. Vale quanto detto in precedenza.
- Allevamenti a stabulazione fissa (full indoor).
Poter mettere in etichetta il metodo di allevamento presenta innegabili vantaggi:
- Evita equivoci e pubblicità ingannevole ai danni del consumatore e della reputazione dell’intera categoria.
- Consente di praticare prezzi differenti dei derivati del latte senza concorrenza sleale.
- Mette in condizione il consumatore eticamente sensibile di esercitare la sua scelta su quali prodotti acquistare.
Conclusioni
L’attuale metodo “ufficiale” di valutazione del benessere animale ha risolto alcune urgenze burocratiche ma non ha risolto il problema di rassicurare i consumatori, e neppure quello di migliorare la qualità della vita degli animali da allevamento in quanto esseri senzienti. E’ facile prevedere che a breve in molte costituzioni dei paesi occidentali verranno riconosciuti i diritti degli animali. Non so se l’immagine negativa che l’allevamento dei food animals ha presso l’opinione pubblica abbia già raggiunto il fondo, ma sicuramente ci è molto vicina. Diventa pertanto urgente individuare un metodo per definire se in un determinato allevamento o in un ambiente domestico sia rispettato il diritto degli animali di condurre una vita sana, dignitosa e rispettosa della loro reale, non presunta, etologia. In questo contesto, possono anche essere prese in considerazione le opinioni delle associazioni animaliste, sempre che ne abbiano e che non vogliano solo fare i loro interessi economici o auspicare l’estinzione di massa degli animali d’allevamento e con essi di buona parte dell’agroalimentare e la veterinaria.
di Alessandro Fantini
2 Agosto 2021
(Fonte RUMINANTIA – Libero confronto d’idee)