Da zoologo non posso non far notare che il 12 agosto celebra la giornata contro la crudeltà sugli animali. Francesco, in Laudato Si’, ci incoraggia a non avere empatia solo per poche specie animali: “Probabilmente ci turba venire a conoscenza dell’estinzione di un mammifero o di un volatile, per la loro maggiore visibilità. Ma per il buon funzionamento degli ecosistemi sono necessari anche i funghi, le alghe, i vermi, i piccoli insetti, i rettili e l’innumerevole varietà di microorganismi.” Se pensiamo alla crudeltà contro gli animali ci vengono in mente i sadici che infieriscono su cani e gatti, oppure le corride o i lager in cui sono tenuti i poveri animali che mangiamo. Il fois gras tanto amato dai francesi deriva da pratiche abominevoli compiute sulle oche.
Tutto vero, tutto da condannare e non solo in una giornata. Ma, seguendo Francesco, non posso non pensare alle conseguenze del nostro agire su animali meno popolari. Il 70 per cento della superficie del pianeta è coperta dall’oceano e, oltre al fango delle piane abissali, il mare profondo è ricco di materiali come il manganese, il cobalto, il nichel, e il petrolio. L’estrazione mineraria nel mare profondo (deep sea mining) è sempre più diffusa e viene praticata da enormi macchinari che devastano i fondali, come avviene a terra nelle miniere a cielo aperto. L’estrazione mineraria nel mare profondo ha enormi impatti sugli animali degli abissi e, secondo me, le sue conseguenze rientrano nelle celebrazioni del 12 agosto.
Nelle profondità marine non ci sono piante e alghe, ci sono solo animali e microorganismi come i batteri e gli archea. Vivono di quel che arriva dalla superficie, sotto forma di neve marina, oppure sono adattati a sfruttare l’energia sprigionata dalle fumarole sottomarine e da altre manifestazioni di vulcanesimo attorno alle quali vivono animali che non si trovano da nessun’altra parte, espressioni originalissime dell’evoluzione. E poi ci sono le foreste animali, analoghe alle barriere coralline tropicali che ben conosciamo e che hanno bisogno di luce. I coralli, le gorgonie, le spugne, a volte i briozoi, formano vere e proprie foreste animali dove vivono crostacei, pesci, squali, echinodermi, anellidi, e molti altri animali ignoti alla gran parte degli umani.
Per estrarre quel che ci serve li uccidiamo con droni sottomarini che fanno per noi lo sporco lavoro di sterminio. Effetti collaterali, mi diranno in molti. Ora dobbiamo limitarci per non uccidere una colonia di pogonofori? Che neppure sappiamo cosa siano? Con questo atteggiamento gli antichi marinai hanno sterminato i dodo che vivevano sull’isola di Mauritius.
Il concetto di crudeltà implica piacere sadico da parte di chi la compie, e prevede sofferenza da parte di chi la subisce. Spesso, però, la crudeltà è a senso unico: chi la esercita non prova piacere, è solo insensibile. E chi la subisce potrebbe anche non essere sensorialmente attrezzato per provare dolore. Abbattere le foreste animali che popolano gli abissi equivale ai disboscamenti che hanno devastato le foreste vegetali delle terre emerse. Le sequoie, per esempio, sono state oggetto di prelievo da parte dei boscaioli che operavano lungo le coste orientali degli Stati Uniti. Sono i viventi più grandi del mondo, raggiungendo i cento metri di altezza, e possono raggiungere 2.000 anni d’età. Con le moderne seghe motorizzate una sequoia si abbatte in pochi minuti. Ora le proteggiamo nei parchi nazionali.
Nelle profondità marine vivono animali ben più longevi delle sequoie, come le spugne vitree, i cui scheletri sono costituiti da materiali silicei: possono vivere anche quindicimila anni. Età paragonabili sono documentate per altre spugne simili a quelle che troviamo anche a bassa profondità. I coralli neri possono vivere duemila anni, proprio come le sequoie. Le profondità marine sono abitate dagli animali più longevi del pianeta e di molti non conosciamo neppure l’esistenza. Magari li faremo estinguere senza sapere i loro nomi: la crudeltà può anche essere esercitata con indifferenza o, nel caso dell’estrazione mineraria dal mare profondo, con ignoranza.
Un’ignoranza che la scienza sta riducendo gradualmente, però. Oramai lo sappiamo che il mare profondo ospita forme di vita animale originalissime che rappresentano espressioni uniche dell’evoluzione. Abbiamo sviluppato tecnologie che ci permettono di distruggere questi animali per soddisfare alcune necessità che altre tecnologie rendono impellenti. Fortunatamente ci sono preoccupazioni riguardo a questi animali, e non solo da parte di romantici ambientalisti che vogliono salvare i… pogonofori! Se ne occupa il G7, e si cominciano a stipulare trattati per proteggere gli abissi marini dall’impatto delle attività minerarie, ancor prima che la gran parte dell’opinione pubblica sia anche solo a conoscenza di queste pratiche e di questi animali che le subiscono.
La crudele ignoranza induce molti a dire: e ora ci dobbiamo limitare per proteggere un verme di profondità, o una spugna? Chissà che catastrofe, eh? Abbiamo bisogno di quei materiali, abbiamo le tecnologie per prenderli dove sono, e questo ci dà il diritto di farlo. Non sarà la fine del mondo. E’ vero, non sarà la fine del mondo. Come non lo è stata quando abbiamo sterminato i nativi americani per impadronirci delle loro terre. Questa indifferenza è forse peggio della crudeltà che genera piacere.