Natalia è una scimpanzé di 21 anni che vive nel Bioparco di Valencia, in Spagna. Suo figlio è morto poco dopo la nascita e lei da tre mesi trasporta il cadavere accudendolo come se fosse ancora vivo. Purtroppo non è il primo figlio che Natalia perde: era già successo nel 2018 ma non si hanno informazioni sulla reazione della madre, in quell’occasione.
“Dopo la nascita il protocollo di follow-up è stato attivato con maggiore intensità in questo caso, poiché Natalia aveva già perso un piccolo nel 2018 – afferma Loles Carbonell, veterinaria e del Bioparc – . Sono stati stabiliti contatti con il gruppo di esperti internazionali e, oltre all’osservazione diretta, sono stati utilizzati intensivamente video e fotografie dettagliate per verificare se l’allattamento si stesse svolgendo correttamente. Le mammelle mostravano poco volume, ma i capezzoli e la suzione del piccolo mostravano segni di alimentazione. Il piccolo scimpanzé ha mostrato un’attività normale fino al giorno precedente, quando è stato effettuato il limitatissimo intervento possibile in queste circostanze, che non è riuscito, però, ad evitare l’esito fatale”.
Negli scimpanzé c’è un alto tasso di mortalità neonatale, e questo avviene anche in natura, dove non esistono le cure e il controllo sulle nascite e sulla salute degli individui da parte dell’Uomo. Purtroppo, è un evento poco prevedibile che dipende da innumerevoli fattori che non sempre sono controllabili.
Al Bioparc di Valencia è ospitato il gruppo più numeroso in Spagna di scimpanzé della sottospecie Pan troglodytes verus, in pericolo critico di estinzione secondo la Lista Rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) e queste strutture protette hanno un ruolo di primo piano nel programma europeo per la loro protezione (EEP). Per questo motivo, oltre che per la componente emotiva, la morte prematura di un piccolo di scimpanzé, specie a rischio, è un enorme perdita anche dal punto di vista conservazionistico per la genetica della specie e per la tutela della biodiversità.
Gli specialisti dello zoo hanno spiegato che il comportamento, chiamato “lutto degli scimpanzé”, è qualcosa che “è scritto nella natura” e che è stato osservato altre volte, ma di solito dura un paio d’ore, giorni o settimane, non mesi. Gli scimpanzé una specie in cui i legami sociali e la coesione del gruppo sono fondamentali; quindi, tutti i membri sono colpiti da questi tristi eventi.
Natalia sta conducendo una vita normale, mangia e svolge tutte le sue attività senza problemi, l’unica cosa che la differenzia dal resto dei primati del suo gruppo è che lo fa senza separarsi dal corpo senza vita del suo piccolo. “Hanno bisogno di un periodo di ‘lutto’ e poco a poco vengono a patti con la realtà e con la perdita, anche se la madre può avere ancora bisogno di tempo per lasciare andare il corpo inerte.” Ha affermato Miguel Casares, direttore del Bioparc.
Si può ipotizzare che il fatto che non fosse la prima volta che Natalia perdesse un figlio, possa essere stato influente nella sua attuale gestione del lutto, oggettivamente vissuto con un notevole carico emotivo, probabilmente dovuto anche allo stravolgimento ormonale del post-parto e dell’allattamento.
Natalia ha partorito a febbraio contemporaneamente a un’altra femmina di scimpanzé del gruppo, il cui piccolo sta bene. L’equipe del Bioparc sperava che la presenza dell’altro piccolo avrebbe rallegrato Natalia, ma finora non sembrava aver avuto alcun impatto sul suo dolore.
Perché i primati portano con sé i neonati morti?
È capitato anche a me di vedere e documentare una mamma di cebo dai cornetti trasportare il suo piccolo morto da 8 giorni. È una di quelle occasioni in cui la distanza tra noi e gli altri animali si accorcia drasticamente e ci accorgiamo di non essere poi così diversi dalle altre specie. Il dolore emotivo di una madre che perde un figlio si percepisce negli umani, così come nei primati, nei cetacei, nei canidi e in tutte le specie che hanno un alto investimento di cure parentali.
Quello che sta compiendo Natalia, la femmina di scimpanzé del Bioparc, è una modalità di gestione del lutto che mette in atto nella sua comprensione della morte, senza avere altri strumenti per poterlo elaborare. Gli animali, infatti, possono comprendere che un individuo è morto, accorgendosi della sua inattività, ma non è documentato che comprendano cosa sia la morte e soprattutto non sembra che capiscano che è qualcosa che toccherà a tutti, prima o poi: questa consapevolezza è una comprensione della morte che abbiamo noi umani, ma non sembrano avercela gli altri animali.
Di recente è stato pubblicato uno studio scientifico in cui i ricercatori hanno confrontato più di 400 casi documentati di madri primati che interagiscono con i loro piccoli morti, raccogliendo esempi da più di un secolo di osservazioni riguardanti 50 specie di primati. Lo studio ha rilevato che circa l’80% delle specie di primati esaminate hanno adottato comportamenti di trasporto di cadaveri. Tuttavia, questa attività è stata segnalata più frequentemente nelle grandi scimmie (scimpanzé, gorilla, orango, gibboni), i nostri parenti primati più stretti, e nelle scimmie del Vecchio Mondo (primati africani e asiatici).
I ricercatori hanno scoperto che uno dei fattori che può influenzare la madre nel suo comportamento di trasporto del piccolo dopo la morte, può essere il fatto che la morte sia improvvisa e non prevedibile. E questo potrebbe essere stato il caso del figlio di Natalia, che secondo quanto raccontato dai keeper del Bioparc, stava apparentemente bene fino al giorno prima. Il fatto che, quindi, non sia avvenuto un incidente evidente che ne abbia provocato la morte, può aver influito sulla riposta al lutto della madre.
La coautrice dello studio, la dottoressa Alecia Carter (UCL Anthropology), ha dichiarato: “Il nostro studio indica che i primati potrebbero essere in grado di apprendere la morte in modi simili agli esseri umani: potrebbe essere necessaria esperienza per capire che la morte provoca una “cessazione di funzione” di lunga durata. ‘, che è uno dei concetti di morte che hanno gli esseri umani. Ciò che non sappiamo, e forse non lo sapremo mai, è se i primati riescono a capire che la morte è universale, che tutti gli animali – compresi loro stessi – moriranno.
“Il nostro studio ha implicazioni anche su ciò che sappiamo su come viene elaborato il dolore tra i primati non umani. È noto che le madri umane che hanno avuto un feto morto e sono in grado di portare in grembo il loro piccolo hanno meno probabilità di sperimentare una grave depressione, poiché hanno l’opportunità di esprimere il loro legame. Anche alcune madri di primati potrebbero aver bisogno dello stesso tempo per affrontare la loro perdita, dimostrando quanto siano forti e importanti i legami materni per i primati e per i mammiferi più in generale”.
Secondo lo studio, l’ansia da separazione potrebbe essere un fattore scatenante del trasporto di cadaveri infantili nei primati e potrebbe spiegare perché i cadaveri di neonati molto piccoli e non svezzati vengono in genere trasportati più a lungo rispetto ai figli più grandi. In effetti, alcune madri di primati che trasportavano i loro piccoli morti lanciavano segnali di allarme – un segno di stress – se perdevano il cadavere o se gli veniva portato via, “suggerendo che trasportare il cadavere potrebbe essere un modo per affrontare lo stress correlato con la perdita” hanno affermato i ricercatori.
Attraverso l’esperienza con la morte e segnali esterni, le madri dei primati possono acquisire una migliore consapevolezza della morte e quindi “decidere” di non portare con sé il loro bambino morto, anche se possono ancora provare emozioni legate alla perdita.
Chissà, se alla luce di queste considerazioni e dati scientifici, noi umani pensiamo ancora di essere l’unica specie senziente in grado di provare emozioni, empatia, dolore e amore.
di Chiara Grasso
18 Maggio 2024
(Fonte LA STAMPA| LaZampa.it)