Gli animali domestici lasciati soli per periodi protratti provano sofferenze fisiche e psichiche. La legge li tutela penalmente dalle incurie dei proprietari.
Siamo abituati a pensare ai gatti come animali indipendenti e piuttosto indifferenti, ma chi li possiede sa bene quanto siano legati all’uomo e, se vogliono, capaci di affetto.
Il benessere dei gatti dipende molto dall’habitat domestico: questi felini “vivono” la casa e quando si verifica un’assenza protratta dell’essere umano possono manifestare disagio, ansia e problemi comportamentali, oltre ovviamente a soffrire fisicamente se mancano loro il cibo, l’acqua e le cure.
Tralasciando la questione, qui irrisolvibile, se i felini siano affezionati più alla casa che ai loro proprietari, sta di fatto che essi sono animali senzienti, dunque senza dubbio capaci di provare patimenti e sofferenze.
Se questi dolori vengono arrecati dall’uomo, scattano le tutele previste dalla legge. A parte i casi estremi dell’uccisione o del maltrattamento di animali, che quando avvengono «per crudeltà o senza necessità» sono delitti puniti con la reclusione fino a due anni, esiste nel Codice penale un’altra figura di reato, quella dell’abbandono di animali. Perciò, l’abbandono di un gatto è vietato e sanzionato penalmente dalla legge. L’abbandono può avvenire in vari modi, che esamineremo, e il responsabile può essere il proprietario, il possessore o anche chi ha in custodia l’animale.
Si tratta dunque di vedere quando è reato abbandonare un gatto lasciandolo solo in casa: la giurisprudenza ha ultimamente assunto una posizione severa, basata sulle concrete condizioni in cui si trovano i felini quando i loro proprietari sono assenti per periodi protratti, come nel caso delle vacanze estive.
A chi affidare il gatto durante le vacanze?
La soluzione ottimale sarebbe quella di lasciare i gatti in un’apposita pensione, ma a volte questo non è realizzabile per problemi pratici o economici.
In genere, si è portati a pensare che se la vacanza è breve, due o tre giorni o fino a una settimana, il gatto riuscirà a badare a sé stesso, se viene munito di una consistente scorta d’acqua e di cibo; ma occorre provvedere anche all’igiene e alla sicurezza dell’ambiente. Gli animali domestici non dovrebbero mai restare completamente incustoditi per periodi lunghi.
Meglio allora se qualche parente, amico o vicino riesce ad andare a dare un’occhiata ogni giorno durante la nostra assenza, per provvedere ai bisogni necessari, come l’alimentazione e la pulizia della lettiera, e magari per trascorrere un po’ di tempo in compagnia del gatto e giocare un po’ con lui.
Quanto tempo un gatto può stare da solo in casa?
Non esiste un periodo di tempo prestabilito e fisso per individuare quanto tempo un gatto può restare da solo in casa. Certamente è possibile lasciarlo quando si esce quotidianamente per il lavoro, la spesa o le altre faccende e di solito il gatto è in grado di sopportare senza conseguenze l’assenza del padrone per un’intera giornata.
Un noto esperto di comportamento degli animali, Desmond Morris, disse, forse provocatoriamente, che «un cane solo è infelice, un gatto ha solo la pace». Ma molto dipende dalla personalità dell’animale, dal suo grado di adattamento alla casa, dalla presenza di un giardino o di balconi e dunque di possibilità di stare all’aria aperta, dal legame affettivo instaurato con il proprietario e dalle condizioni concrete in cui viene lasciato: è ben diverso tenerlo chiuso in una stanza dal lasciargli la possibilità di muoversi nell’intero appartamento, possibilmente con aria e luce.
Anche l’età del gatto influisce sul periodo che può trascorrere da solo: gli esperti affermano che i cuccioli non dovrebbero essere lasciati soli per più di qualche ora, mentre i gatti adulti, specialmente se di carattere tranquillo, sono in grado di trascorrere tempi più lunghi anche senza un essere umano vicino.
Il reato di abbandono di animali
Finora abbiamo parlato di aspetti pratici, ora passiamo ad esaminare gli aspetti legali della faccenda. La legge contempla il reato di abbandono di animali. che è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Si tratta di un reato contravvenzione, per il quale non è richiesto il dolo ma è sufficiente la colpa.
La norma si riferisce a tutti gli «animali domestici o che abbiano acquisito le abitudini della cattività», dunque comprende sicuramente i gatti; ma non indica in cosa consista l’abbandono, anche se specifica che «alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze».
A colmare il vuoto è intervenuta la giurisprudenza, che ha stabilito un criterio in base al quale l’abbandono si configura quando l’animale è lasciato solo per periodi protratti, senza nessuno che si prenda cura di lui.
Il bene giuridico protetto dalla norma è, infatti, il benessere degli animali, dunque il loro diritto alla “non sofferenza” che qui assume rilievo nel diritto a non essere abbandonati, rimanendo privi di attenzioni materiali ed affettive.
È chiaro che gli animali domestici sono esseri viventi dotati di una propria sensibilità psicofisica e sono capaci di provare dolore ed essere feriti anche psicologicamente quando sono costretti a subire la mancanza delle cure necessarie, che come abbiamo visto non sono soltanto materiali.
Andare in vacanza e lasciare i gatti a casa è reato?
L’abbandono rilevante dal punto di vista penale si verifica specialmente durante il periodo estivo, se i padroni vanno in vacanza a lungo e i gatti rimangono soli a casa in uno stato di incuria, privi di supporto materiale e di attenzioni.
Un caso emblematico in tal senso è quello recentemente deciso dalla Corte di Cassazione. che ha confermato la condanna al pagamento di 1.500 euro di ammenda ad una donna che era andata in vacanza affidando i suoi tre gatti ai figli minorenni, che però concretamente non si erano occupati degli animali.
I gatti sono stati ritrovati in pessime condizioni dai Carabinieri e dalle guardie zoofile, intervenuti a seguito di segnalazione: rinchiusi in un’unica camera, affamati ed assetati perché rimasti senza cibo, con poca acqua stagnante nella ciotola e con la lettiera sporca e completamente satura; anche i mobili e i divani erano ricoperti da escrementi ed urine.
La Suprema Corte ha ritenuto che in questo stato i gatti fossero detenuti «in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze». D’altro canto, i figli della proprietaria erano minorenni, vivevano in un’altra casa, si recavano nell’appartamento dove erano collocati i gatti solo a giorni alterni; ma soprattutto, vista l’età, erano «prevedibilmente inadeguati al compito loro assegnato» di accudirli, e ciò ha fondato la colpa della proprietaria.
Perciò – rimarca la sentenza – «l’imputata, a fronte del lungo periodo di assenza e della impossibilità di avvalersi di un sostituto adeguato per la cura dei propri animali domestici, avrebbe dovuto affidare i gatti ad una struttura, pubblica o privata, di custodia e cura».
Le sofferenze degli animali lasciati senza cure
Gli Ermellini sono stati molto fermi nel sottolineare che «la detenzione impropria di animali, produttiva di gravi sofferenze, va considerata, per le specie più note (quali, ad esempio, gli animali domestici), attingendo al patrimonio di comune esperienza e conoscenza» dunque bisogna dare per scontato che i gatti richiedono cure costanti, tenendo presente anche «le acquisizioni delle scienze naturali» sul comportamento di questi animali domestici.
Ed ancora – prosegue il Collegio – «le gravi sofferenze non vanno necessariamente intese come quelle condizioni che possono determinare un vero e proprio processo patologico, bensì anche i meri patimenti». Questo implica che «assumono rilievo non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psicofisica dell’animale, procurandogli dolore e afflizione».
I giudici di piazza Cavour hanno precisato che «la grave sofferenza dell’animale, elemento oggettivo dell’abbandono, deve essere desunta dalle modalità della custodia che devono essere inconciliabili con la condizione propria dell’animale in situazione di benessere».
Ed infatti anche in precedenti pronunce della Suprema Corte «è stato ritenuto integrato il reato anche in situazioni quali la privazione di cibo, acqua e luce o le precarie condizioni di salute, di igiene e di nutrizione» . Per maggiori informazioni puoi leggere la sentenza della Cassazione che riportiamo in forma integrale nel box al termine di questo articolo.
19 dicembre 2020 | Autore Paolo Remer
(Fonte Sito La Legge per tutti)