Il fotografo Paolo Rossi racconta come ha documentato la presenza dell’ultimo felino non domestico nel nostro Paese: “Qui è importante quanto il leopardo delle nevi per l’Asia”. Le tecniche per coglierne il comportamento naturale
Restare appostato per ore al freddo, dopo essersi addentrato nelle zone più impervie dell’Appennino ligure, ad attendere che animali elusivi come il lupo e il gatto selvatico si concedessero alla sua macchina fotografica, è stata a lungo per Paolo Rossi “una passione intima e personale”. Sono passati venti anni dalle prime foto che questo 38 enne genovese, ora autorità non accademica nel suo campo, ha fornito alla ricerca scientifica e la “passione intima” è diventata un lavoro da divulgatore, senza perdere il suo spirito originario.
A due anni dalla pubblicazione di Felis – Gatto sarvaego, il libro che ha fornito prove certe sulla presenza del gatto selvatico (Felis silvestris) in Liguria, Rossi, insieme a Nicola Rebora, lancia una raccolta fondi per realizzare un libro fotografico con immagini inedite di felini e altri animali selvatici, una testimonianza sulla bellezza degli ambienti naturali tra i monti dell’Appennino nelle province di Genova, Alessandria, Pavia e Piacenza. È in questo labirinto di valli coperte da una fitta vegetazione e caratterizzato da versanti estremamente scoscesi che il gatto selvatico, specie minacciata di estinzione, sembra aver trovato il suo habitat ideale.
Documentare la presenza del gatto selvatico non ha soltanto valore scientifico: “Occuparsi del Felis silvestris è innanzi tutto fornire prove ulteriori della biodiversità dei nostri Appennini – spiega Rossi – Nel nostro territorio, dopo la scomparsa delle linci sterminate ai primi dell’Ottocento, resta solo lui come felino selvatico. Per la sua capacità di cacciare, di mimetizzarsi tra rocce e cortecce degli alberi, per il suo fascino, non è meno importante del leopardo delle nevi: è un ambasciatore unico nel suo genere”.
Negli studi di Rossi il gatto selvatico occupa un posto particolare, pur se la sua intenzione resta di documentare la presenza di più specie. “Siamo stati pionieri delle fotografie di lupi – racconta infatti – nel 2008 le foto di esemplari in libertà erano rarissime. In quegli anni ci addentravamo nelle zone più selvagge in cerca dei branchi, scoprire il gatto selvatico è stato del tutto inaspettato”. Servono tecniche diverse per fotografare animali differenti: “I lupi si muovono tanto, basta appostarsi in zone dove si sono rintracciati escrementi o segni di predazioni. Il gatto selvatico, invece, riesce a cacciare in maniera efficace piccoli roditori come i ghiri, gli scoiattoli e le arvicole in piccole porzioni di territorio, al riparo dai suoi predatori come l’aquila reale e i gufi. Oltre ai nostri appostamenti per i lupi – dice Rossi – avevamo piazzato una video-trappola su un sentiero in alta val Trebbia e trovare lo scatto di un gatto selvatico è stata una grande emozione”.
Il fotografo ha subito mandato la foto a esperti del settore per essere certo che si trattasse proprio del Felis silvestris, che rispetto al gatto domestico ha una corporatura più massiccia, pelo grigio-marrone sbiadito sui fianchi, spesso con macchie bianche su gola, petto e ventre e sempre con una striscia nera lungo il dorso, la coda folta con estremità arrotondata nera, spesso con 2-3 anelli neri chiaramente visibili e la punta del naso sempre rosa.
“Una volta verificato che si trattava proprio di un gatto selvatico o servaego, come si dice in dialetto, abbiamo imparato ancora meglio i dettagli della specie e cominciato a cercarlo in ambienti più selvaggi, come vecchissimi castagneti abbandonati, dove nessuno va più a raccogliere e ci sono piante maestose e ricche di vita, rifugi eccellenti per il gatto selvatico”, spiega il fotografo che dopo il diploma di perito agrario ha “preferito le esperienze nei boschi alle aule universitarie”.
“Anche adesso che non ho più bisogno di fare lavori di ogni tipo per finanziare la mia passione – sottolinea Rossi – non ho cambiato tecnica e la mia priorità è fotografare gli animali arrecando loro il minimo disturbo. La maggior parte delle foto dei gatti selvatici sono realizzate attirandoli con paletti di legno cosparsi di valeriana, che ha un odore per loro irresistibile. Noi preferiamo avere meno foto, ma che colgano gli animali in atteggiamenti naturali, mentre si strofinano per lasciare il loro odore su un castagno abbattuto o mentre marcano il territorio. Decidiamo anche di non usare flash, per avere foto più naturali: in questo ci aiuta il fatto che spesso il rumore dello scatto fa immobilizzare il gatto, una capacità incredibile che risulta per noi preziosa. È comunque sempre una bella sfida, facciamo poche foto ma molto particolari e l’apice della gioia è quando dimostriamo la presenza degli animali in nuove zone”.
Il fotografo insiste molto sull’aspetto etico del suo lavoro: “Spesso anche chi ha buone intenzioni finisce per creare disturbo agli animali – osserva – anche il fototrappolaggio crea rumore e incursioni inutili per controllare troppo spesso i risultati. Ogni volta che ci addentriamo su vecchie mulattiere dismesse o crinali dove nessuno passa da anni lo facciamo con il rispetto e il timore reverenziale di chi si rende conto di quanto è straordinario venire a contatto con questi boschi”. La passione di Rossi e Rebora è ora diventata anche sostegno prezioso per la scienza: grazie al ricercatore Stefano Anile foto e informazioni raccolte nella loro attività sul campo rientreranno in un grande database di foto-trappolatori indipendenti.
di Cristina Nadotti
09 Febbraio 2023
(Fonte LA REPUBBLICA | GREEN&BLUE)