I DIRITTI
Dalla conferenza di Berlino del 1995 a Sharm el-Sheikh non si è fatto praticamente nulla per salvare il Pianeta mentre incendi, alluvioni e desertificazione aumentano una battaglia persa Negli ultimi trent’anni abbiamo inquinato quanto i precedenti due secoli di industrializzazione
L’INTERVENTO DI Carlo Petrini
L’ irreversibilità è arrivata, i disastri climatico-ambientali sono sempre più frequenti e alcuni, come la desertificazione, in costante aumento. E ora di smettere di riporre le nostre aspettative e le nostre speranze in incontri sterili che non fanno altro che mettere delle virgole laddove necessitiamo un punto esclamativo per affrontare una crisi mai vista prima. Oltre un quarto di secolo è trascorso dalla prima Conferenza della Parti sulla Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici e cosa è cambiato? Praticamente nulla, a partire dalla nostra illusione che queste riunioni possano fornire soluzioni rivoluzionarie in grado di sovvertire concretamente un futuro del Pianeta che di anno in anno si fa sempre più cupo. In questo 2022, su tutto il globo, si sono intensificati fenomeni estremi come incendi, alluvioni e lunghi periodi di siccità; dobbiamo dunque smettere di prenderci in giro e ammettere che la sfida con la crisi climatica è stata persa. Le future generazioni saranno costrette a vivere cataclismi sempre più disastrosi. Se ci pensiamo bene da Berlino (1995) a Sharm el-Sheikh (2022) i rituali sono stati gli stessi: l’ultimo giorno viene reso pubblico un II raggiungimento degli obiettivi che da tempo ci stiamo ponendo avverrà ben dopo 112030 accordo, frutto di compromessi al ribasso dell’ultimo momento e quindi lacunoso e poco efficace; questo viene inizialmente osannato come la panacea di tutti i mali; per poi venire puntualmente disatteso. E il risultato finale è che nei fatti non cambia assolutamente nulla (o troppo poco) . Già, proprio i fatti sono quelli che contano. Sono questi a dirci che negli ultimi trent’anni, a discapito di tutti i buoni propositi, abbiamo inquinato il nostro Pianeta quanto i precedenti due secoli di industrializzazione. Gli avvenimenti ci pongono davanti a fenomeni estremi sempre più numerosi, sempre più repentini e sempre più impattanti. E sono dunque questi fatti che ci devono rendere disincantati davanti all’imminente e inevitabile arrivo di un vero e proprio sconquasso ambientale. Illusione, disincanto, irreversibilità: tutti termini forti che richiamano uno scenario apocalittico. Allo stesso tempo però ci posso *** no far aprire realmente gli occhi su tre questioni in particolare. La prima: per trent’anni abbiamo riposto fiducia in un tipo di dialettica fatta di frasi come «siamo ancora in tempo», «è tempo di agire» o «ci stiamo avvicinando al punto di non ritorno». Questo è stato un metodo del tutto inefficace. L’inganno di avere ancora tempi e margini di manovra non ben definiti hanno posto le basi a un lungo e dannoso tergiversare: il punto di non ritorno è stato ormai superato. In secondo luogo, in un contesto come quello odierno, dobbiamo essere consapevoli che qualsiasi tipo di soluzione risulta irrisoria se non condivisa seriamente da tutti nello stesso momento; un’opzione che risulta essere ancora molto lontana dalla realtà. Le soluzioni pratiche che, seppur in piccola parte, si stanno già apportando – soprattutto attraverso azioni virtuose di alcuni singoli cittadini — non bastano più. E aggiungo: anche se la chiusura della Cop27 avesse innescato un vero e proprio cambio di passo in termini di lotta al cambiamento climatico, gli effetti tangibili li avremmo potuti verificare, non domani, nemmeno nei prossimi anni, ma solo a distanza di decenni. Con questo voglio dire che, pur agendo ora in maniera decisa e unita, il raggiungimento degli obiettivi che da anni ci stiamo ponendo, per forza di cose – e per via dei tempi di reazione di un ambiente completamente saturo – avverrà ben dopo il 2030 e probabilmente oltre il 2050. Dobbiamo prendere coscienza di questo oltre che – terzo elemento – iniziare a ragionare seriamente sul fatto che forse ognuno di noi non è poi così pronto ad abbandonare buona parte delle comodità acquisite per adottare seri e profondi cambiamenti nel suo stesso modo di vivere. In aggiunta a ciò, se con le Cop stiamo assistendo anno dopo anno all’impasse delle Nazioni Unite, attraverso la politica interna della stragrande maggioranza degli Stati, abbiamo la dimostrazione che l’intera impalcatura economica-produttiva non ha la men che minima intenzione di fermarsi a ripensare il modello imperante e affidarsi a nuovi approcci più ecologici. Il contesto è dunque delineato, ma non per questo dobbiamo interrompere le discussioni o peggio ancora cessare di assumere comportamenti virtuosi in tema di sostenibilità ambientale. Aprire gli occhi, ammettere di aver perso la sfida climatica, adottare del sano pragmatismo e dirsi le cose come stanno deve poter ampliare il nostro raggio di azione e non ridurlo. Per quanto piccolo e insignificante a livello globale, una buona condotta che mira alla salute degli ecosistemi (tutela della biodiversità, fertilità dei suoli, consumo di acqua e riduzione della dispersione di materiale plastico in ogni angolo del Pianeta sono provvedimenti urgenti che non possono più essere taciuti o passare in secondo piano) può far vincere piccole sfide locali; le quali possono generare risvolti positivi anche in campo sociale e dunque migliorare le vite di chi ci sta più vicino. Allo stesso modo le nostre azioni a livello locale devono essere mosse da un senso di responsabilità verso chi è costretto a vivere questa drammatica situazione senza esserne responsabile. Se ci fermiamo a pensare, nonostante il destino di ogni vita umana sia quello di sentir estinguere le proprie forze vitali, non è cosa comune smettere di agire e fare del bene con l’avanzare della fase del declino. Per questo, concludendo, mi voglio rivolgere alle persone che per questioni anagrafiche sento più vicine. Sulle generazioni di chi oggi ha più di 50 anni grava il peso di una profonda colpevolezza. Come faremo a guardare in faccia un giovane adolescente che molto probabilmente pagherà sulla qualità della sua stessa vita (incendi, alluvioni, magari carestie, sicuramente grandi flussi migratori) le scelte scellerate che abbiamo continuato e perpetuare per decenni interi. Quello che, anche sotto forma di esempio verso i più giovani, dobbiamo scongiurare è il senso di passività e di indifferenza verso ciò che ci circonda, sia esso facile o difficile da affrontare.
di Carlo Petrini
20 Novembre 2022
(Fonte articolo e foto LA STAMPA)
IL FONDO PER RIMEDIARE AI DANNI DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO
Accordo sugli aiuti ai Paesi fragili la Cop27 evita il fallimento totale A un passo dalla rottura, l’accordo è stato trovato. Alla Cop27 di Sharm el-Sheikh, i Paesi ricchi guidati da Usa e Ue, e quelli emergenti e in via di sviluppo guidati dalla Cina, hanno concordato di istituire un fondo per ristorare le perdite e i danni causati dal riscaldamento globale nei Paesi più poveri. Era il punto più spinoso della trattativa, quello sul quale ha rischiato di saltare il tavolo. Ora mancano le limature, e l’ok al documento finale potrebbe arrivare oggi. Ma il rischio di un fallimento della Cop, di una conferenza che finiva senza risultati tangibili, è stato sventato. A Sharm sarà nominata una commissione di esperti, che porterà il progetto del fondo alla Cop28 di Dubai, l’anno prossimo. La giornata a Sharm era cominciata malissimo. Il vicepresidente della Commissione Ue, Frans Timmermans, aveva annunciato che l’Europa era pronta a lasciare il negoziato se non si arrivava a un accordo accettabile. L’Unione qualche giorno fa aveva detto sì controvoglia al fondo per i «loss and damage», chiesto dai Paesi del G77+Cina. Tuttavia, aveva posto delle condizioni. Il fondo doveva essere destinato solo ai più vulnerabili, e non a tutti i Paesi in via di sviluppo, fra i quali risultano superpotenze come Cina e India E doveva essere finanziato anche da Pechino. Inoltre, in cambio del sì al fondo, lite ha chiesto la conferma di tutti gli impegni di mitigazione del cambiamento climatico presi alla Cop26 di Glasgow.