Per lungo tempo la vita sulla Terra è trascorsa silenziosa. Poi sono arrivati i richiami animali: chi ha iniziato, e quando? Come lo sappiamo?
Oggi la vita sulla Terra è una gran caciara: anche nei luoghi lontani dalle città i versi degli animali creano un’inconfondibile colonna sonora. Non è sempre andata così: per la maggior parte della sua storia, il nostro è stato un pianeta silenzioso, cullato solamente dai rumori del vento, delle onde e della pioggia. Quand’è che tutto è cambiato? A ricostruire la storia delle voci del mondo animale è un interessante articolo pubblicato su Scientific American.
RIPORTARE IN VITA I SUONI. Come scrive Michael B. Habib, paleontologo esperto di biomeccanica del Natural History Museum di Los Angeles e della Greater Los Angeles Zoo Association, anche se nessuno ha potuto registrare i suoni del passato, dai fossili è possibile intuire quando comparvero le prime strutture deputate alla produzione o al riconoscimento dei rumori negli antenati degli animali moderni. In alcuni fortunati casi si possono anche ricreare quegli antichi versi e persino ricostruire il “chiacchiericcio” di alcuni ecosistemi preistorici.
MOVIMENTO IN FONDO AL MARE. Le più antiche tracce di vita sulla Terra risalgono a 3,7 miliardi di anni fa, ma quei primi, semplici microrganismi acquatici, come i cianobatteri, che hanno lasciato le loro impronte fossili nelle stromatoliti, non producevano suoni specifici. Per rumori più interessanti dobbiamo far scorrere rapidamente il nastro della vita fino all’esplosione di biodiversità del Cambriano, tra 541 e 485,4 milioni di anni fa, quando, in una massiccia diversificazione legata a picchi di ossigeno in atmosfera, comparvero i precursori di molte specie animali moderne (tutte ancora acquatiche: la vita sulla Terra non era ancora sviluppata).
Nell’arco di appena 20 milioni di anni i viventi affinarono le tattiche di caccia e locomozione. Se fossimo stati lì avremmo cominciato a sentire lo zampettio degli artropodi sui fondali, e i cefalopodi rompere qualche conchiglia. Ma non ancora veri e propri versi animali.
RUMORI DI INSETTI. Devono trascorrere altri 200 milioni di anni per i primi ronzii nell’aria. Il silenzio sulla terraferma è infine infranto dagli insetti. Anche se si pensa che questi animali siano apparsi per la prima volta 408 milioni di anni fa (o prima), la più antica prova fossile di un insetto in grado di produrre un suono ha 250 milioni di anni. Si tratta dei resti di una cavalletta verde provvista dell’apparato sonoro che produce il caratteristico frinire delle sere d’estate: lamine collegate a muscoli sui lati dell’addome che vengono fatte vibrare, oltre a una cassa di risonanza che amplifica i suoni.
I primi fossili degli antenati delle cicale risalgono a questo stesso periodo. Non è difficile capire i vantaggi evolutivi di questi nuovi strumenti musicali: comunicare su lunghe distanze, allontanare i predatori, irretire le partner. Inizia una sfida canora da infrangere i bicchieri: secondo uno studio cinese del 2012, queste cavallette preistoriche potevano produrre suoni di 6,4 kilohertz, un’ottava sopra gli acuti di Mariah Carey.
ANFIBI E MAMMIFERI. La laringe, ossia la “scatola” che contiene le corde vocali alla fine delle vie aeree dei vertebrati, ha più o meno la stessa età. Si pensa che gli antenati di anfibi, rettili e mammiferi abbiano iniziato a sperimentarne l’uso attorno a 300 milioni di anni fa, ma non ne sappiamo molto – l’organo è fatto di cartilagine, difficilmente conservabile nei fossili. Quel che è certo è che nel Mesozoico, 230 milioni di anni fa, le rane ne padroneggiavano già l’uso e avevano sviluppato un ampio repertorio di gracidii.
Dell’antenato comune a tutti i mammiferi in questo periodo conosciamo invece solo fossili di orecchie, con ossicine specializzate nel cogliere suoni ad alta frequenza, come i ronzii degli insetti che cacciavano. Forse questi nostri lontani antenati potevano anche produrre suoni molto acuti e comunicare a frequenze non udibili ai loro predatori.
Negli ultimi 15 anni le analisi ai raggi X dei crani fossili di molte specie di dinosauro e gli studi di meccanica dei fluidi hanno permesso di concludere che questi animali non necessariamente ringhiavano, come i T. rex di Jurassic Park: piuttosto, muggivano, barrivano, starnazzavano…
Altri dinosauri erano assai più silenziosi di come il cinema li ha dipinti. I brachiosauri non potevano barrire come elefanti, come si vede in Jurassic Park: poiché il nervo ricorrente della laringe dei tetrapodi (i vertebrati con quattro arti) forma una specie di U che costringe l’impulso nervoso a percorrere un viaggio di andata e ritorno nel collo, questo dinosauro dal collo lungo non aveva modo di controllare movimenti rapidi delle corde vocali e produceva suoni più semplici, come sibili e fischi.
I CANTI DEGLI UCCELLI. I vocalist più sofisticati tra i dinosauri sono gli unici rappresentanti del gruppo giunti fino a noi: gli uccelli. I primi risalgono a 150 milioni di anni fa, ma le loro abilità canore sorsero probabilmente un po’ più tardi. Il segreto del loro controllo vocale è nella siringe, un organo che a differenza della trachea, situata nel collo, si trova in fondo alle vie aeree, dove la trachea si biforca nei polmoni. Questa posizione permette di produrre suono in modo più efficiente e con lo stesso dispendio energetico perché sfrutta i flussi d’aria di entrambi i polmoni, per fare la stessa cosa o per eseguire suoni di frequenze diverse. Alcuni uccelli riescono a cimentarsi persino in duetti con controcanti “interni”!
Il più antico fossile di uccello noto provvisto di siringe risale al periodo Cretaceo, tra 66 e 69 milioni di anni fa. Ma si tratta di un organo già iperspecializzato, dunque la sua origine deve essere precedente. Diversamente da quanto potremmo pensare, gli pterosauri, gli altri rettili volanti del Mesozoico, erano invece sprovvisti di siringe: dunque non cinguettavano come uccelli, ma grugnivano o producevano un rumore assordante facendo sbattere le due parti del becco una contro l’altra.
VEDERE CON LA VOCE. Con un salto nel tempo ci spostiamo all’inizio del Cenozoico, dopo l’asteroide killer dei dinosauri, 66 milioni di anni fa. Compaiono pipistrelli e balene, che a dispetto delle diverse dimensioni hanno una cosa in comune: usano il suono per vedere. Nasce cioè l’ecolocazione, la capacità degli animali di direzionare il suono verso un obiettivo specifico, ascoltare l’eco in ritorno e analizzare queste informazioni per determinare distanza, forma e velocità di spostamento dell’oggetto – una possibile preda, un proprio simile o un riferimento per muoversi al buio.
Per vedere con precisione i piccoli insetti di cui si nutrono nel cielo notturno, i pipistrelli devono produrre suoni ad altissima frequenza, che abbiano una lunghezza d’onda uguale o minore alla lunghezza del corpo della preda. L’udito umano, che senza fastidio arriva a cogliere suoni fino a 20.000 hertz, è in grado di udire solo i richiami più bassi e profondi dei pipistrelli (che a noi sembrano striduli!).
LA RIVOLUZIONE DELLA PAROLA. E infine arriviamo all’uomo. La laringe, requisito anatomico per la produzione di suoni, è già presente nei fossili dei primi rappresentanti del genere Homo 2,8 milioni di anni fa. E anche se l’Homo erectus (1,8 milioni di anni fa) potrebbe per primo aver fatto uso di simboli, la nascita del linguaggio viene fatta risalire alla nostra specie, l’H. sapiens, e avrebbe al massimo poche centinaia di migliaia di anni. Benché non raggiunga i record di frequenza o intensità di altri animali, il linguaggio umano – che trasmettiamo, scriviamo, registriamo, insegniamo – è il collante alla base della nostra società. In un certo senso ha plasmato il mondo come lo conosciamo.