Ricercatori dell’Università di Swansea (Gran Bretagna) hanno scoperto che le mascherine facciali usa e getta quando vengono immerse nell’acqua rilasciano inquinanti chimici e potenzialmente pericolosi per la salute umana e per l’ambiente.
All’interno delle mascherine monouso anti-Covid-19 sono stati rinvenuti significativi livelli di inquinanti, potenzialmente dannosi per la salute umana e quella dell’ambiente.
È il risultato dello Studio “An investigation into the leaching of micro and nano particles and chemical pollutants from disposable face masks – linked to the COVID-19 pandemic”, pubblicato online su Water Research e condotto da un gruppo di ricercatori del College of Engineering dell’Università di Swansea (Gran Bretagna), e supportato dall’ Institute for Innovative Materials, Processing and Numerical Technologies (IMPACT), centro di eccellenza e da SPECIFIC, uno dei 7 Centri di Innovazione e conoscenza, istituiti nel 2011 dalla Gran Bretagna per promuovere nuove industrie, colmando il divario tra ricerca scientifica e sfruttamento commerciale, parzialmente finanziato dal Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), che hanno entrambi sede proprio presso l’Università di Swansea.
L’aumento delle mascherine “usa e getta” e dei relativi rifiuti monouso dovuti alla pandemia di Covid-19, è stato già documentato come una nuova causa di inquinamento, e lo Studio ha esplorato questo collegamento diretto attraverso analisi per identificare il livello delle sostanze tossiche presenti.
“Tutti noi dobbiamo continuare a indossare le mascherine poiché sono essenziali per porre fine alla pandemia – ha dichiarato il responsabile del progetto, Sarper Sarp del College of Engineering presso l’Università di Swansea – Ma abbiamo anche urgente bisogno di ulteriori ricerche e normative sulla produzione di mascherine, in modo da ridurre i rischi per l’ambiente e la salute umana“.
Per effettuare i test, il team di ricerca ha utilizzato una varietà di mascherine, dalle quelle standard per il viso a maschere nuove e festose per bambini, molte delle quali si trovano attualmente in molti punti vendita al dettaglio del Regno Unito.
I risultati hanno rivelato livelli significativi di inquinanti in tutte le maschere testate, con micro/nano particelle e metalli pesanti rilasciati nell’acqua durante tutti i test. Secondo i ricercatori, ciò avrà un impatto ambientale sostanziale e, inoltre, solleverà la questione del potenziale danno alla salute pubblica, dal momento che l’esposizione ripetuta potrebbe essere pericolosa poiché le sostanze trovate hanno legami noti con la morte cellulare, la genotossicità e la formazione del cancro.
Per contrastare il fenomeno, i ricercatori consigliano di adottare ulteriori ricerche e le conseguenti normative da mettere in atto nel processo di produzione e verifica.
“La produzione di mascherine facciali in plastica usa e getta (DPF) nella sola Cina ha raggiunto circa 200 milioni al giorno, in uno sforzo globale per contrastare la diffusione del nuovo coronavirus – ha proseguito Sarp – Tuttavia, lo smaltimento improprio e non regolamentato di questi DPF è un problema di inquinamento da plastica che stiamo già affrontando e che continuerà ad intensificarsi. C’è una quantità preoccupante di prove che suggeriscono che i rifiuti di DPF possono potenzialmente avere un impatto ambientale sostanziale rilasciando sostanze inquinanti semplicemente esponendole all’acqua. Molti degli inquinanti tossici trovati nella nostra ricerca hanno proprietà bio-accumulative quando vengono rilasciati nell’ambiente e i nostri risultati mostrano che i DPF potrebbero essere una delle principali fonti di questi contaminanti ambientali durante e dopo la pandemia Covid-19. È quindi imprescindibile che durante la produzione e lo smaltimento / riciclaggio dei DPF vengano applicate normative più severe per ridurre al minimo l’impatto ambientale. È inoltre necessario comprendere l’impatto di tale lisciviazione di particelle sulla salute pubblica. Una delle principali preoccupazioni di queste particelle è che si sono staccate facilmente dalle maschere facciali e rilasciate nell’acqua senza agitazione, suggerendo che queste particelle sono meccanicamente instabile e prontamente disponibili a staccarsi”.
Un recente Studio internazionale, coordinato dal Centro per gli Studi Marini e Ambientali (CESAM) del Portogallo, ha stimato che per effetto della pandemia ogni mese siano utilizzate 129 miliardi di mascherine facciali, superando la produzione delle bottiglie plastica (43 miliardi a mese), ma mentre il 25% di queste viene riciclato, non esistono Linee guida sul riciclo delle mascherine, rendendo più probabile che vengano smaltite come rifiuto solido nella migliore delle ipotesi, quando non siano inopinatamente abbandonate nell’ambiente.
“È necessaria un’indagine completa per determinare le quantità e gli impatti potenziali di queste particelle che penetrano nell’ambiente e i livelli inalati dagli utenti durante la normale respirazione – ha concluso lo scienziato – Questa è una preoccupazione significativa, soprattutto per gli operatori sanitari, i lavoratori essenziali e bambini che sono tenuti a indossare mascherine per gran parte della giornata lavorativa o scolastica“.
5 Maggio 2021
(Fonte www.regionieambiente.it)