Studio di Green Impact e Save the dogs sulle norme degli Stati per punire una barbarie. Regioni italiane divise. In Umbria e Campania le legge più avanzate.
Garm,, nella mitologia scandinava, è un cane infernale. E’ a guardia del regno dei morti, legato saldamente a una catena, da cui si libererà solo quando arriverà la fine del mondo. Ma siamo nell’era pre-cristiana, al tempo di draghi e Elfi. Sono trascorsi millenni e il “migliore amico dell’uomo” è ancora tenuto alla catena in molte aree dell’Europa e del mondo, e anche in molte Regioni d’Italia, alcune delle quali addirittura prive di legislazione sul tema. E sono migliaia i quattro zampe costretti in catene, spesso per tutta la loro vita.
Che questo sia un aspetto imbarazzante per non dire vergognoso dell’amicizia tra cane e essere umano sono in molti a dirlo. In prima linea “Green Impact” e “Save the dogs and the other animals” che hanno condotto un’analisi internazionale (la prima di una serie) e si preparano a dare battaglia chiedendo normative in linea con il benessere, la salute e l’etologia degli animali. Questa pratica, dice infatti Adam Miklosi, etologo presso l’Università di Budapest, “non dovrebbe esistere. Non c’è legge che obblighi ad avere un cane. Ma se l’uomo decide di condividere la sua vita con un cane, come possono i nostri “amici” finire in catene? Privati della possibilità di fare qualsiasi scelta: esplorare, correre, cercare un rifugio, difendersi da un predatore?
Esseri senzienti
Nel Trattato di Lisbona (2007) l’Unione Europea ha riconosciuto gli animali come esseri senzienti. Tali sono anche per il nostro Codice civile. Per questo la possibilità di perpetuare pratiche ancestrali risulta ancora più stridente. Senza dimenticare che il Codice penale prevede due reati (articoli 544 ter e 727 cp) che puniscono chiunque detenga “animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze”.
Lo studio delle due associazioni ha analizzato e messo a confronto le normative di 19 Stati europei, cinque extra UE e, infine, le Regioni italiane che sono competenti in materia. Se la più rispettosa nel mondo è la legge adottata dalla California, in Europa ciascuno Stato si regolamenta in modo autonomo. E i migliori modelli normativi sono quelli introdotti da Austria e Svezia che, oltre a vietare rigorosamente il ricorso alla catena, introducono pesanti sanzioni (in Austria da 3750 a 15 mila euro per la violazione della norma; in Svezia si va dall’ammenda a due anni di reclusione). E quando prevedono una eccezione dettano persino il tempo (in minuti) in cui il cane può restare legato. In Italia si va da un estremo (Liguria, Sicilia e Basilicata non hanno adottato alcuna norma) a un altro (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Abruzzo e Puglia hanno introdotto divieti ma accompagnati da deroghe poco circostanziate). Per fortuna a dare una lezione di civiltà con norme all’avanguardia c’è l’Umbria insieme alla Campania che però ha per ora varato la normativa ma non ancora introdotto le sanzioni adeguate.
Il parere dell’etologo
E’ il professor Enrico Alleva a spiegare che “il cane mantenuto a lungo alla catena è un essere che soffre molto, perché ne sono violati alcuni principi base delle sue regolazioni etologiche”. Inverni gelidi, torride estati lo possono condannare a una misera fine. “Sono evidenti la necessità e l’urgenza di rivedere nella maggior parte delle Regioni italiane le leggi che regolamentano la detenzione a catena – commenta la Presidente di Save the Dogs, Sara Turetta – perché poco chiare, incapaci di tutelare davvero gli animali, o piene di deroghe che lasciano spazio a scappatoie. Ci auguriamo che il divieto di detenzione a catena diventi parte integrante di una legge nazionale sul maltrattamento e che, in caso contrario, i governatori prendano provvedimenti affinché la normativa sia coerente con la rinnovata sensibilità degli italiani su questi temi”.
Gli studi dimostrano che la detenzione dei cani a catena è “una condizione incompatibile con il loro benessere”.
Benché infatti le normative spesso distinguano tra un cane detenuto a catena e un cane a catena in condizioni di maltrattamento, gli scienziati e i ricercatori che hanno contribuito al Rapporto concordano che “la vita di un cane costretto alla catena è, in sé e per se, una forma di maltrattamento, con conseguenze oggettive sullo stato psicologico, emotivo e fisico dell’animale”.
“Confidiamo che il report possa offrire alle autorità politiche gli strumenti necessari per adottare provvedimenti incisivi – dice Gaia Angelini di Green Impact – guardando ai migliori esempi di leggi esistenti supportati dalle più avanzate conoscenze in fatto di etologia, veterinaria ed etica degli animali. Non ci sono più scuse: è venuto il momento di agire per chi amministra i nostri territori”.
Il dossier
La versione integrale del rapporto “Verso il divieto di tenere i cani alla catena” è visibile sui siti www.greenimpact.it/it e www.savethedogs.eu
di Paola D’Amico
23 marzo 2021
(Fonte Il Corriere della sera | Buone notizie)