Una scarica elettrica, poi la dolorosa attesa della morte. L’agonia di volpi e procioni prima di essere scuoiati

Le immagini choc di un’investigazione di Humane Society International che ha visitato nel territorio cinese 13 aziende che producono pellicce per il mercato internazionale

La scossa elettrica arriva all’improvviso: l’asta con due elettrodi si conficca in un punto a caso del corpo della cane procione. In pochi secondi l’animale resta immobilizzato. Non è morto, non ancora: per diversi minuti sarà bloccato in un’atroce agonia, in attesa dell’arresto cardiaco che metterà fine alle sue sofferenze. E vista la sbrigatività delle operazioni — l’elettrocuzione, spiegano gli esperti, andrebbe effettuata direttamente al cervello, non sul tronco, per provocare una morte immediata — non è detto che sarà del tutto incosciente quando finirà sul banco dell’addetto alla scuoiatura. Dove avverrà la conclusione cruenta di una vita miserevole, trascorsa all’interno di minuscole gabbie dove è impossibile muoversi e dove gli animali sviluppano comportamenti schizofrenici tipici della costrizione. La pelle dei cani procioni, che sono dei canidi appartenenti alla tribù delle volpi, è molto richiesta dall’industria della moda. E che nella fattoria in cui è stata condotta l’indagine in incognito di Humane Society International sono trattati senza alcun briciolo di compassione. Una volta separate dalla pelliccia, le carcasse vengono abbandonate sul terreno. Ma da quello che hanno appreso gli osservatori di HSI, quella carne arriva anche ad un mercato alimentare parallelo e consumata da ignari clienti di ristoranti.

Tutto questo non è regolare, neppure in Cina. Le immagini del filmato girato in loco — che abbiamo visionato ma che per la crudezza delle riprese abbiamo deciso di non pubblicare — sono un pugno nello stomaco. Ma non sono un caso isolato. HSI ha visitato 13 allevamenti di animali da pelliccia tra novembre e dicembre del 2020. «L’investigazione rivela violazioni di molte delle norme cinesi sul benessere animale, l’allevamento, la macellazione e la sorveglianza epidemiologica — spiega una nota dell’associazione —. È preoccupante la dichiarazione di un allevatore che ammette che la carne degli animali uccisi viene venduta ai ristoranti locali, per il consumo umano da parte di ignari commensali».

L’inchiesta è stata svolta in piena pandemia, viene evidenziato, ma non sono state osservate particolari cautele nel maneggiare gli animali vivi e poi morti, nonostante sia noto che i virus come quello che ha scatenato il Covid-19 trovino un ambiente favorevole nei wet market e in ogni luogo in cui c’è commistione di sangue e carcasse lasciate alla disponibilità di altri animali e insetti. Non sono state predisposte, come prevede la legge cinese, stazioni di disinfezione all’entrata e all’uscita della fattoria. E gli stessi visitatori erano autorizzati a circolare senza che fosse loro di adottare alcuna precauzione. HSI ha fatto sapere di avere fornito le prove raccolte durante l’investigazione alle autorità cinesi, sia a Pechino sia presso l’ambasciata di Londra.

«Anche se questa indagine ha avuto luogo in Cina — sottolinea Martina Pluda, direttrice di HSI Italia — scene altrettanto angoscianti di animali stressati, tenuti in piccole gabbie metalliche, si riscontrano negli allevamenti sia in Nord America sia in Europa, Italia compresa. L’allevamento intensivo di animali da pelliccia comporta sempre enormi sofferenze e un rischio inaccettabile per la salute pubblica».

16 marzo 2021
(Fonte CORRIERE DELLA SERA | Animalia)