Coldiretti e Confagricoltura chiedono ulteriori interventi, ma gli animalisti contestano l’allarme: colpa delle immissioni | E Arci Caccia chiama all’unità il mondo venatorio
Con la modifica al regolamento, la Regione Umbria ha inserito anche la specie cinghiale nella caccia di selezione (oltre a capriolo, daino e cervo), proprio in ragione dell’aumento degli ungulati.
Confagricoltura: servono anche altri strumenti di controllo
Dopo questo “importante passaggio per le politiche regionali di gestione dei cinghiali“, per Confagricoltura è però anche necessario ora potenziare altri strumenti di controllo e contenimento con l’utilizzo pure del trappola-mento. “Attività già concordata nei scorsi mesi, sia al Tavolo Verde che alla Consulta faunistico-venatoria, alla presenza di tutte le associazioni – ricorda Fabio Rossi, il presidente regionale di Confagricoltura – come strumento che può contribuire al contenimento della popolazione di cinghiali liberi perché consente l’incremento del prelievo demografico ed è utilizzabile specialmente in alcune aree particolarmente critiche”.
Secondo Confagricoltura Umbria è inoltre necessario che la Regione metta subito allo studio sperimentazioni, anche su aree pilota, di strategie innovative per studiare l’efficacia di strumenti di intervento per assicurare la risoluzione delle criticità legate alla specie cinghiale: “A nostro avviso è un passaggio ineludibile per arrivare a confezionare una strategia complessiva di governo del fenomeno” commenta Rossi.
Coldiretti Umbria ha inserito le sue proposte per arginare il proliferare dei cinghiali nel suo Manifesto “Tuteliamo territorio e imprese”, inviato dal presidente Agabiti alla presidente della Giunta regionale, al presidente dell’Assemblea Legislativa, ai prefetti, agli assessori regionali all’Agricoltura e alla Sanità, ai sindaci, ai parlamentari umbri, ai presidenti di Provincia e ad altri esponenti istituzionali.
All’interno del manifesto richieste misure straordinarie e ordinarie. Tra le prime, l’adozione di un piano di controllo della specie cinghiale, che preveda l’utilizzo di ogni strumento possibile; inoltre, la possibilità per l’agricoltore in possesso di licenza, di intervenire direttamente o allestire trappole idonee alla cattura di cinghiali che si trovano all’interno del proprio fondo, previa comunicazione agli organi preposti senza il rispetto del termine previsto. Tra quelle ordinarie, la richiesta alla Regione di un tavolo permanente che avanzi nel termine massimo di due mesi proposte condivise sui seguenti temi: censimento della specie; definizione delle aree non vocate alla presenza del cinghiale e piani di controllo specifici; pubblicazione dei dati; maggior coinvolgimento degli Enti gestori delle aree naturali protette; costruzione di un sistema snello per la commercializzazione della carne degli ungulati; contributi concreti e proporzionati agli agricoltori, per l’acquisto di reti elettrificate; rivisitazione e modifica del sistema di accertamento dei danni ed indennizzo.
“Se la modifica della legge nazionale in materia è fondamentale – spiega Agabiti – occorre anche un rinnovato e forte impegno a livello regionale, anche sul funzionamento e gestione degli Atc. Oltre al danno diretto per le imprese agricole che vedono i propri redditi in caduta e spesso non segnalano nemmeno più i danni, c’è da tener conto del peso sociale che le devastazioni producono, con evidente dispendio di risorse pubbliche. Gli eventuali indennizzi – conclude – debbono essere commisurati al danno effettivo, con riscontri tempestivi e risorse sufficienti“.
Ed anche il direttore Coldiretti Umbria, oltre ai danni provocati dalla devastazione dei cinghiali ed ai pericoli per la sicurezza delle persone anche in città, lancia l’allarme sui possibili rischi di diffusione di malattie come la peste suina africana.
Gli animalisti: allarmismo, ci sono altri metodi
Gli animalisti però non ci stanno e contestano l’allarme lanciato dagli agricoltori. Avi Vegani internazionale Umbria, Lega anti caccia Umbria, Perugia animal savee Lav Lega antivivisezione Perugia accusano della situazione attuale le “politiche che nel corso degli anni gli assessorati, per motivi elettoralistici, hanno adottato per assecondare le richieste delle associazioni venatorie“.
Con l’immissione di specie provenienti dai Carpazi, decisamente più resistenti di quelle autoctone. “E questo perché, essendo più prolifiche – scrivono gli animalisti – risponderebbero allo scopo di tutti coloro che sono dediti a uno tra i tipi di caccia più efferati e pericolosi, anche, considerati i morti nelle battute, per gli umani“.
Per le associazioni animalisti la soluzione è nel vietare qualsiasi forma di allevamento e sterilizzare i maschi: “In pochissimo tempo, se fossero attuate queste misure, la situazione verrebbe normalizzata. Gli interessi venatori sono l’unica vera causa dell’aumento dei cinghiali“.
Quanto alla pericolosità dei cinghiali, ricordano che si tratta di animali che attaccano se feriti, che attraversano le strade e causano incidenti perché spaventati dalle battute di caccia e scendono in città perché fuggono dai boschi, dove vengono inseguiti, o anche perché attirati dall’immondizia non conferita nei cassonetti.
E chiedono alla Regione di fornire i numeri degli “allevamenti di cinghiali“, delle squadre impegnate nell’apposita caccia e informazioni accessibili a tutti sui luoghi delle battute. “Solo nella scorsa stagione venatoria – scrivono gli animalisti – ci sono stati ben 27 morti e 68 feriti, di cui 7 cittadini ignari e disarmati, a causa della caccia“.
E si sottolineano ancora dubbi sui controlli relativi all’utilizzo e alla commercializzazione delle carni.
Infine, gli animalisti rinnovano il “no” alla politica degli abbattimenti: “Ovunque la mattanza programmata, come improvvidamente proporrebbero associazioni di categoria, si è rivelata inutile al contenimento e rispondente solo a logiche spietate. Crediamo sia possibile salvaguardare davvero territorio, agricoltura e fauna con visioni obsolete e totalmente prive di etica e razionalità“.
Arci Caccia, appello all’unità dei cacciatori
Anche dal mondo venatorio arrivano richieste di nuove norme che consentano di affrontare adeguatamente la questione cinghiali.
“Non si può relegare il problema – scrive Arci Caccia Umbria – solo alla gestione dei distretti, al numero dei capi abbattuti durante il periodo di caccia che dura solamente tre mesi e con uno sfasamento temporale come i tempi dell’agricoltura o con regolamenti non al passo con i tempi“.
“In Umbria – viene ricordato – esistono realtà di confine, dove si registrano ingenti danni, dove il cinghiale non può essere solo un problema Umbro, le aree protette di confine delle Regioni limitrofe sono serbatoi immensi di cinghiali che causano danni in Umbria e si rifugiano al di là del confine, ma i danni gravano sui bilanci degli Atc umbri, queste sono problematiche che non possono essere affrontate guardando solamente all’interno del confine amministrativo regionale“.
Arci Caccia rivendica una propria linea, anche minoritaria in questi anni, rispetto alle valutazioni del mondo venatorio. “Sappiamo perfettamente che parte del mondo venatorio, non sempre ha risposto con senso di responsabilità di fronte al problema – scrive l’associazione -. Ma non è il caso di Arci Caccia, sono anni che stiamo chiedendo alla Regione Umbria, un regolamento per gestire la specie e un regolamento per esercitare la caccia al cinghiale, nell’ottica di rispondere alle esigenze che sono maturate all’interno del mondo venatorio e agricolo“.
Arci Caccia chiama quindi all’unità il mondo venatorio. Anche alla luce del fatto che gli uffici regionali preposti stanno lavorando ad un nuovo piano di gestione della specie cinghiale. Per il quale si chiede un confronto con le associazioni venatorie.
di Massimo Sbardella
06 Febbraio 2021
(Fonte Tutt’oggi – Giornale on-line Umbria)