Nel 1880 se ne contavano ormai solo mille esemplari. Ma dopo un secolo di caccia indiscriminata, un programma di ripopolamento li ha riportati sugli altipiani del Messico
Sono tornati i bisonti. Dopo cento anni. In Messico si erano estinti. Una caccia selvaggia e indiscriminata, ottima e tanta carne, comode pellicce che potevi vendere a buon prezzo e che ti coprivano nei rigidi inverni. Per gli indiani, le tribù che popolavano anche le montagne del nord est del Messico, erano animali sacri. Li veneravano e li rispettavano. Perché davano da mangiare, rappresentavano la vita. Quando venivano cacciati si trattava di una sfida, lanciata con cura e strategia. Bastava colpirne uno a caso e scoppiava l’inferno. Caricavano in massa, travolgevano ogni cosa, polverizzavano villaggi e uomini. Poi sono arrivati i cow boy, i mandriani che difendevano cavalli e mucche ed è cominciato il disastro. Una strage. Trecento anni fa ci contavano tra 30 e 60 milioni di capi. Nel 1880 ne restavano 1000 esemplari. “Purtroppo”, ricorda la Commissione Nazionale delle Aree Naturali Protette (Conap) del Messico, “c’è stata la distruzione e la frammentazione delle terre da pascolo, assieme alle malattie e alla caccia indiscriminata”.Grazie a un’iniziativa del Parco Nazionale Wind Cave, nel Sud Dakota, 23 bisonti sono stati trasferiti nel 2009 negli altipiani di Coahuila, Stato del nordest del Messico, confinante con il Texas. Grandi distese coperte d’inverno dalla neve e d’estate da un manto verde: l’habitat adatto al più grande mammifero dell’intero Continente americano fino a quel momento presente solo in Canada e negli stati più a nord degli Usa. Il progetto comune tra Usa e Messico venne acclamato anche dall’allora presidente Barack Obama che dichiarò il bisonte Primo Mammifero Nazionale.L’obiettivo è farli riprodurre e tenerli al sicuro fino a quando non avranno raggiunto il loro equilibrio di numero e di razza. L’annuncio, riporta l’edizione messicana de El Pais, è stato dato da María Luisa Albores, titolare del ministero dell’Ambiente e delle Risorse naturali con un tweet nel quale posta anche un video con le immagini dei primi bisonti che pascolano tra le nevi dello stato di Coahuila. Fanno parte di un secondo gruppo di 19 esemplari che sono andati a ingrossare la tribù di mammiferi stimata adesso attorno ai 200 capi. “L’inserimento di queste mandrie in Messico”, osserva la ministra, “contribuisce in maniera determinante al recupero della specie su scala continentale. E’ un esempio di recupero delle specie a rischio estinzione attraverso la stretta collaborazione tra diversi attori della società”.Di indole docile, nonostante la sua fama, il bisonte trascorre la sua esistenza brucando l’erba degli altopiani. E’ anche un mammifero agile, al di là della sua stazza, capace di correre fino a 60 chilometri l’ora. Alto in media 1,60 metri supera spesso la tonnellata di peso. Durante il periodo dell’accoppiamento, i maschi si contendono le femmine con duri scontri a colpi di corna.
La distruzione di questa specie è iniziata negli anni 70 del XIX secolo. Lo storico Andrew C. Isenberg, citato anche dal New Yorker, racconta nel suo libro “La Distruzione del bisonte”, che a segnare la loro fine fu la pelle ricercatissima dalle tante fabbriche che erano apparse in tutti gli Stati Uniti. Le loro ossa, inoltre, erano usate nella produzione di fertilizzanti. Ma la loro fine fu dovuta soprattutto allo spirito che animava le stesse autorità americane. “Ucciderli”, sostiene Isenberg “rappresentava il trionfo della civiltà sui selvaggi”.
di Daniele Mastrogiacomo
(Fonte LA REPUBBLICA | Green&Blue)