È uno dei comandamenti più diffusi (e meno seguiti) degli ultimi decenni: meglio scegliere solo frutta e verdura di stagione. E fare attenzione che non provengano da altre parti del pianeta, fosse solo per l’impronta ecologica e per la loro sostenibilità (senza contare i trattamenti che debbono essere eseguiti con l’ausilio di prodotti chimici di sintesi per fargli sopportare i lunghi viaggi).
Frutta di stagione? Una chimera
Eppure è facile dimenticare questo comandamento di fronte a uno scaffale di un supermercato che espone fragole anche di inverno, avocado, mango, ananas come arrivassero dalla nostra regione, pomodori anche fuori dal periodo…
Partendo dalla consapevolezza che il km 0 e il consumo di stagione sono diventati quasi una chimera, c’è chi si è messo a calcolare l’impronta ecologica di questi cibi esotici o coltivati in serra nei nostri confini per capire quali fanno più male all’ambiente.
Lo hanno fatto i ricercatori dell’Istituto per l’energia e la ricerca ambientale di Heidelberg (Ifeu) che dopo la premessa che “La carne ha una delle più alte emissioni di CO2 di tutti gli alimenti” hanno fornito anche alcune risposte sorprendenti. “Quando si tratta di cibo al supermercato, l’impronta ambientale e climatica spesso dipende meno dal prodotto che da dove e come questi prodotti sono stati coltivati, trasportati e confezionati“, afferma Guido Reinhardt, che ha condotto lo studio Ecological Footprints of Food and Dishes in Germany.
L’impronta ecologica? Dipende dal mezzo di trasporto
E ha concluso che spesso i mezzi di trasporto utilizzati dal produttore al rivenditore svolgono un ruolo importante, quanto e forse più di altri fattori.
I mezzi di trasporto svolgono un ruolo importante nell’impronta di carbonio, un ananas che arriva via nave è 25 volte migliore per il clima di un ananas che raggiunge i nostri banchi in volo, e almeno tre volte meglio dell’ananas in scatola. Le mele regionali e stagionali e le mele immagazzinate sono due volte più rispettose del clima delle mele della Nuova Zelanda. E questo nonostante la resa molto più elevata per area nei meleti della Nuova Zelanda.
Quando anche i confini… confondono
La ricerca, però, non promuove sempre i prodotti che arrivano dai nostri confini. “In una serra di pomodori che vengono raccolti da febbraio a novembre, l’emissione di CO2 nei mesi marginali è particolarmente elevata, poiché anche le serre devono essere riscaldate con energia fossile. Durante questi periodi, i pomodori dalla Spagna o dai Paesi Bassi sarebbero più rispettosi dell’ambiente. Ma se invece scegliessimo frutta di stagione e verdura di stagione dalle nostre regioni, allora avremmo il massimo per il bilancio di CO2” ha spiegato Reinhardt.
I 7 da non comprare (guardando l’origine)
Chi vuole mangiare in modo sostenibile, però, non dovrebbe limitarsi a guardare l’impronta ecologica legata alla CO2. Oltre ai gas serra, altri criteri giocano un ruolo. Ad esempio, la disponibilità di acqua. La frutta proveniente da paesi in cui l’acqua scarseggia è certamente un problema per l’ambiente.
E per queste ragioni sarebbe il caso di evitare, tanto per fare pochi esempi:
- le mandorle della California,
- i germogli e i fagioli dall’Egitto,
- i kiwi e le arance da Israele
- la frutta e verdura dall’Andalusia e dal Marocco.
Sette categorie di alimenti facilmente riconoscibili dando una semplice occhiata all’origine, per molti di loro obbligatoriamente indicata in etichetta.
di Roberto Quintavalle
28 dicembre 2020
(Fonte Il Salvagente)