Dall’elefantessa incinta uccisa da un ananas riempito di petardi ai suini sterminati, quando l’uomo non riesce a rispettare la natura

«Non aveva mai fatto del male a nessuno. Non ha fatto del male a un singolo essere umano anche quando si è messa a correre in preda a un dolore lancinante per le strade del villaggio. Non ha distrutto una sola casa. Per questo dico che era un essere buono». Sono queste le toccanti parole di Mohan Krishnan, il ranger che ha tentato invano di salvare un’elefantessa uccisa da un ananas riempito di petardi in India, probabilmente usato contro i cinghiali. Una crudeltà che è costata la vita a lei al cucciolo che portava in grembo e che sarebbe nato fra circa venti mesi. 

Quell’ordigno le ha squarciato la mandibola e parte della pancia. Ed è andata a morire insieme al cucciolo che portava in grembo, nel fiume Velliyar, rimanendo con la testa parzialmente sott’acqua per cercare riparo e sollievo dal tremendo dolore che stava provando: «Scusa sorella – scrive ancora Krishnan – . Con la bocca e la lingua distrutte dall’esplosione, camminava affamata senza riuscire a mangiare. Ma forse era più preoccupata per la salute del cucciolo dentro di sé che per la sua fame».

Lei non aveva mai fatto male a nessuno. Era una madre, affamata. Cercava cibo per essere forte e sana. Per dare la vita al suo piccolo. Non conosceva i confini con cui l’uomo si è spartita la Terra. Si fidava di loro. E forse questo le è costata la vita. Le autorità hanno riferito che l’incidente è avvenuto nei giorni scorsi nel distretto di Palakkad, nello stato del Kerala, nell’India meridionale, vicino a terreni agricoli dove altre volte contadini e gente del posto ha usato il metodo di imbottire la frutta con i petardi per tenere lontani gli animali dai raccolti. L’indignazione popolare è stata tale da suscitare perfino la reazione del governo: «Il governo centrale ha preso molto sul serio l’uccisione di un elefante a Mallapuram, #Kerala», ha scritto su Twitter il ministro dell’Ambiente, Prakash Javadekar. «Non lasceremo nulla di intentato per indagare correttamente e catturare i colpevoli – ha aggiunto -. Dare da mangiare petardi e uccidere non rientra nella cultura indiana».

Questa triste storia, oggi che è la giornata mondiale dell’ambiente, porta per l’ennesima volta a riflettere sulla difficile convivenza dell’uomo con la natura che lo circonda e il poco rispetto che si ha nei confronti degli animali (oltre che dell’ambiente).

Il confinamento per il coronavirus ha chiuso in casa gli esseri umani e molti animali sono entrati nei centri abitati. Questo ci ha ricordato quel mondo della natura che esiste attorno a noi, ma che rimane nascosto. E così volpi e orsi in Europa, come i rinoceronti e elefanti in Asia e Africa, sono tornati a farsi vedere per poi scomparire quando il confinamento è terminato. 

La natura ha dei suoi equilibri, ma l’uomo continua a ignorarli cercando sempre di forzare le cose a proprio bisogno. E così in Trentino per anni viene lanciato un piano per reintrodurre gli orsi, per poi scoprire che questi si muovono, si cibano. Non sono dei cartonati da ammirare, per attirare turisti, ma che bisogna conoscerli per conviverci. E così si scopre che se si fa una ricerca in rete sugli orsi dell’Alaska i siti turistici locali danno molte informazioni sulle cose da fare e sugli errori da non fare, mentre quelli di casa nostra spesso e volentieri si dimenticano di questi aspetti. Salvo poi gridare al dramma quando qualche incontro finisce male (per l’uomo). 

Mark Twain diceva che «tra tutti gli animali l’uomo è il più crudele. È l’unico a infliggere dolore per il piacere di farlo». E le altre notizie di questi giorni non smentiscono questo suo pensiero, dalle uova di cigno prese a sassate al cigno legato a Gallipoli, fino ad arrivare ai ragazzi crudeli che prendono a calci il riccio come se fosse un pallone da calcio.

La pandemia poi da coronavirus ha acceso i riflettori sui wet market, i cosiddetti “mercati umidi” tipicamente asiatici e africani dove gli animali selvatici e non solo, dopo aver subito terribili sofferenze, vengono uccisi e venduti in condizioni igieniche molto pericolose per la possibilità che possano diffondere infezioni e virus. E così dove la cultura tradizionale non è riuscita a evolversi verso forme di maggiore rispetto, ci ha pensato il coronavirus a spingere la Cina a escludere cani e gatti dalla lista degli animali da “bestiame” elevandoli così da cibo a compagni di vita.

Ma non è che nei Paesi occidentali la situazione sia migliore: basta pensare agli allevamenti intensivi che ancora una volta mostrano il loro lato peggiore: migliaia di suini uccisi in maniera atroce negli Stati Uniti per la crisi delle vendite, così come i visoni olandesi a rischio soppressione perché ritenuti pericolosi untori di un virus diffuso dall’uomo.  In entrambi i casi decisioni prese su migliaia di esseri viventi, soffi di vita nati e cresciuti già privati della libertà, ridotti a numeri di esemplari, cose da buttare e costi da risparmiare. Come se l’uomo fosse l’unico proprietario di questo ambiente che oggi viene celebrato a livello mondiale. 

di Fulvio Cerutti

05 giugno 2020

(Fonte La Stampa/La Zampa)