Dieci anni fa Purina lanciava in Italia il progetto «Pets at work». Oggi sono una cinquantina gli animali che affiancano i loro compagni umani in azienda. E il modello viene esteso a molte altre aziende
Rubina zampetta allegramente entrando dalla porta principale. Non si stacca mai dal fianco di Giulia, la sua compagna umana, che oltre a trascorrere con lei piacevoli momenti di gioco e di condivisione a casa, al parco o in vacanza, fa quella strana cosa che fanno molti della sua specie: lavora. Giulia lo fa in un moderno edificio in un centro direzionale alle porte di Milano, dove decine di migliaia di persone ogni giorno varcano porte scorrevoli e tornelli e con una passata di badge iniziano la loro giornata in ufficio.
Quella che allora era una scommessa pionieristica, oggi è una realtà consolidata. Non solo perché nella torre di Milanofiori che ospita tutte le divisioni del gruppo sono ormai una cinquantina i quattrozampe che accedono agli ambienti di lavoro. Ma soprattutto perché la possibilità di portare il proprio cane in ufficio non riguarda più solo questa azienda o le aziende del pet care in generale, che sono intrinsecamente predisposte a questa forma di organizzazione, ma anche tante altre realtà operanti in diversi campi, sia nel privato sia nel pubblico. Molte di queste sono partite proprio dall’esperienza di Purina che dal 2017 ha lanciato anche la «Pets at work Alliance», un network creato per estendere l’esperienza a chiunque condivida la filosofia del «better with pets», meglio con gli animali. Nella vita, in generale; e quindi anche nei luoghi di lavoro. A livello internazionale ha coinvolto già più di 200 compagnie.
Quella che a molti potrebbe apparire una eccentrica consuetudine è in realtà un potente strumento di welfare aziendale e un acceleratore di produttività, che si realizza praticamente a costo zero. È stato dimostrato da diversi studi in Italia e all’estero – dove il processo è iniziato con alcuni anni di anticipo – che la vicinanza degli animali sia un antistress naturale di cui beneficiano non solo i proprietari, che sono più tranquilli sapendo che l’amichetto scodinzolante è al loro fianco e non da solo a casa, magari a diversi chilometri di distanza o affidato alle cure di parenti o dog sitter; ma anche i loro colleghi, perché la presenza dei cani crea serenità ed empatia e contribuisce a creare un ambiente di lavoro più rilassato e quindi più efficiente. Insomma, un po’ lo stesso principio della pet therapy.
Non tutti hanno la fortuna di Giulia, che la sua amata barboncina bianca la può portare fino alla scrivania e tenerla con sé per tutto il tempo. Ma per fortuna non si tratta più di un caso isolato: una ricerca di Bva Doxa su un campione rappresentativo di proprietari italiani di cani certifica che l’80% di loro non può tenere il proprio animale con sé sul posto di lavoro. Ma noi che siamo ottimisti guardiamo all’altro 20%, che non è poco visto che si partiva, di fatto, da zero. Una volta superato un tabù si può solo andare avanti e indietro non si torna. Giulia lavora a Purina, azienda del gruppo Nestlé tra i principali leader di mercato del settore del pet food, che proprio quest’anno festeggia un importante traguardo: ricorre infatti il decimo anniversario del progetto «Pets at work» – acronimo Paw, che in inglese significa «zampa» -, avviato in Italia nel 2014 nella sede di Assago dopo una fase di studio e di progettazione durata circa due anni.
Affinché tutto funzioni è necessario adottare una serie di procedure che permettano una serena convivenza tra umani e non umani e anche tra i diversi cani, che a prescindere da protocolli e eventuali sedute di educazione cinofila mantengono il diritto di avere, come noi del resto, simpatie e antipatie. Il primo passo è verificare che tutte le persone che lavorano in uno stesso ambiente candidato a diventare pet friendly siano d’accordo, ed è un presupposto essenziale. Il secondo è capire se il cane sia adatto ad accedere in azienda, un luogo che ha ritmi, routine e regole che non si possono trascurare. Per questo motivo dovrà conseguire un «patentino» che certifichi che caratterialmente e per educazione sia pronto per la vita da ufficio. Sostanzialmente vengono valutate da un tecnico esterno la risposta al richiamo o a comandi come il seduto o il terra e la capacità di attendere fermo il ritorno del suo proprietario qualora questi si debba assentare per esigenze operative (e in quel caso viene accudito da un buddy partner, un collega che si rende disponibile). Sembra poco, ma in realtà è la base di tutto. Il resto è solo questione di apertura mentale e di organizzazione. «Non serve una ristrutturazione della sede – puntualizza Sara Faravelli, Corporate Communication Director Italia e Sud Europa di Purina -, sono sufficienti delle targhette che indichino chiaramente quali sono le aree accessibili ai cani e quali quelle interdette. E dei ganci alle scrivanie a cui assicurare il guinzaglio degli animali». Che restano al fianco dei loro proprietari e non se ne vanno a zonzo incontrollati, anche per andare incontro alle esigenze di chi, per allergia, paura o semplice fastidio, potrebbe non gradire la vicinanza di un pelosetto. Motivo per cui sono previsti anche percorsi e ascensori differenziati per gli spostamenti interni. «L’integrazione è il passaggio fondamentale – sottolinea ancora Faravelli -. Confinare gli animali in un piccolo spazio sarebbe invece una segregazione e non funzionerebbe, soprattutto sul lungo periodo. È l’azienda intera che deve essere inclusiva, tenendo conto delle esigenze e delle sensibilità di tutti».
Il meccanismo fino ad oggi ha funzionato. Un sondaggio tra i lavoratori ha raccolto la soddisfazione del 100% tra coloro che partecipano al progetto, ma anche del 93% di coloro che non hanno animali ma che vedono di buon occhio la presenza dei cani «perché mettono di buon umore e facilitano l’interazione con i colleghi». Soprattutto in aziende di grandi dimensioni, dove spesso il lavoro è compartimentato. I cani agevolano invece gli incontri e gli scambi, magari nell’area comune destinata all’assunzione di cibo o acqua oppure durante le passeggiate all’aperto durante le pause.
C’è anche un altro aspetto, non secondario, che questa pratica porta con sè: agevola l’adozione di cani. Molte persone che vorrebbero magari togliere un trovatello da un canile hanno infatti remore nell’accogliere un animale in famiglia, sapendo di doverlo lasciare solo per molte ore. La possibilità di portarlo in ufficio, magari in abbinata a giorni di smart working, abbatte anche questa barriera.
«Siamo molto fieri di questa iniziativa, che concretizza il nostro credo: quando i pet e le persone che li amano stanno insieme, la vita si arricchisce. – commenta Rafael Lopez, Regional Director Italia e Sud Europa di Purina -. Vale anche sul posto di lavoro. I nostri collaboratori si dicono orgogliosi di appartenere a una realtà che incoraggia ed implementa progetti di questo tipo e anche le aziende che hanno aderito alla Pets at Work Alliance si mostrano soddisfatte. Continueremo a mettere la nostra esperienza al servizio di realtà che hanno i nostri stessi valori per supportarle in un percorso che porti ad ambienti di lavoro maggiormente pet friendly». Tra quelle che hanno aderito ci sono Fater, l’ente di normazione Uni, Zoetis Italia, l’agenzia creativa YAM11203, lo studio di architettura e design Palomba Serafini, l’azienda farmaceutica Boehringer Ingelheim tanto per citarne alcune.
Quando Rubina arriva in azienda passa dalla reception per la registrazione: è infatti necessario, anche per motivi di sicurezza, sapere ogni giorno quanti sono i cani presenti e in quale postazione si trovano. A seconda degli spazi e della dimensione delle aziende viene prevista infatti una specifica capienza e, nel caso, si adotta un principio di rotazione. Nell’atrio del palazzo che ospita il quartier generale di Nestlé in Italia- ma la stessa cosa avviene nello stabilimento di Portogruaro – un pannello riporta le foto e i nomi di tutti i quattrozampe che quel giorno hanno accompagnato i loro umani, un modo simpatico per far sapere chi si può incontrare tra uffici e corridoi e magari per far scattare appuntamenti per una passeggiata insieme. Chi lo ha detto che andare al lavoro non possa essere anche divertente?