Il riscaldamento globale sta cambiando le abitudini degli stambecchi delle Alpi, che per evitare il caldo sono sempre più attivi di notte nonostante il maggior rischio di essere preda dei lupi. Questo il risultato di uno studio realizzato dalle Università di Ferrara e di Sassari, dal parco nazionale del Gran Paradiso e dal parco nazionale Svizzero e pubblicato sulla rivista Proceedings of the Royal Society.
La ricerca è avvenuta tramite l’osservazione di 47 stambecchi nelle aree protette per un totale di 11 mila giorni di monitoraggio e ha rivelato che gli stambecchi dopo giorni con temperature massime elevate, “hanno aumentato la loro attività notturna, probabilmente per compensare la ridotta assunzione di cibo diurna”. Contro le aspettative degli studiosi, “l’attività notturna dello stambecco è stata maggiore nell’area in cui era presente il predatore notturno”, anche perché durante l’attività di notte “sembra trarre beneficio dall’illuminazione lunare, che probabilmente migliora l’efficienza della vista e il rilevamento precoce dei predatori”.
I risultati nel complesso mostrano che in condizioni calde l’attività notturna permette di ridurre i “costi” di termoregolazione corporea e l’esposizione allo stress da caldo, che sembrano essere più importanti di evitare il rischio di predazione. Le conclusioni dello studio mettono in evidenza che gli adattamenti comportamentali sono le risposte più rapide degli animali ai fattori di stress ambientali. I grandi mammiferi come lo stambecco “potrebbero essere in grado di mitigare gli effetti del riscaldamento globale cercando rifugio durante le ore notturne più fresche”.
Ma non è solo il riscaldamento globale l’unica “pressione” che li spinge a vivere di notte perché i disturbi umani come lo sviluppo urbano, l’agricoltura, la caccia o l’escursionismo, sono fattori centrali che portano ad un “aumento globale dell’attività notturna in numerose specie di mammiferi” che devono “adattarsi spazialmente e temporalmente a questi cambiamenti per evitare l’estinzione“.
Non si tratta di un fenomeno positivo, perché se da un lato lo “spostamento verso la notte” facilita l’adattamento animale all’attività dell’uomo, dall’altro porta a conseguenze negative: gli animali diurni “possono soffrire di ridotta efficienza di foraggiamento, comportamenti anti-predatori indeboliti, capacità di movimento limitata e, in definitiva, ridotti tassi di riproduzione e sopravvivenza”. Queste dinamiche portano anche alla necessità di rivedere le attività di gestione della fauna, perché durante le ore di luce si farà più fatica a trovare e contare gli animali; inoltre bisogna cercare di ridurre le altre sorgenti di stress e disturbo che potrebbero forzare ulteriormente gli animali a essere meno attivi di giorno, come ad esempio riducendo la presenza di turisti o degli elicotteri.
di Redazione
17 Gennaio 2024
(Fonte IL FATTO QUOTIDIANO)