La preside di una scuola elementare di Viareggio ha cancellato la Festa del Papà per non discriminare i bambini privi di papà. Il movente è nobile, l’esito rovesciato: per non far soffrire i bambini senza padre si fanno soffrire quelli che volevano trascorrere qualche ora in classe con i padri. Si obietterà che la sofferenza dei secondi non è paragonabile a quella dei primi. Però, a forza di eliminare ogni cosa che possa anche solo lontanamente far soffrire qualcuno, si finisce per far soffrire un po’ tutti, e per non lasciare in piedi più nulla. Nessuna festa, opera d’arte, memoria storica. Mi spaventa chi pretende di applicare alla vita quel principio di unanimità che ha ridotto all’immobilismo le istituzioni.
Il mondo è cambiato, dice la preside di Viareggio. Ma non è una buona ragione per sterilizzarlo, trasformandolo in un non-luogo privo di spigoli e sapori. La condizione umana è fin dall’infanzia una mescolanza di piaceri e sofferenze che andrebbe spiegata e accompagnata più che rimossa a colpi di divieti. Quando persi mia madre, la maestra strappò da tutti i sussidiari la pagina che parlava di mamme. Aveva agito per proteggermi, e ancora adesso la purezza delle sue intenzioni mi commuove, però la sofferenza mi aspettava comunque all’uscita da scuola, quando mi ritrovavo a essere l’unico senza una madre ad attenderlo. Un bimbo può partecipare alla Festa del Papà anche se non ha un papà: magari in compagnia di un altro adulto a cui vuole bene. Includere significa aggiungere, non abolire.