Lo scrittore Trevi ricorda Libero De Rienzo: «Aveva 20 anni e passava i pomeriggi a leggere a casa mia. Era convinto che il suo dono-provocazione avrebbe inciso sulla mia carriera»
Una terribile fatalità, di cui non riesco ancora a farmi una minima ragione, ha voluto che la nuova edizione di un mio vecchio libro, I cani del nulla , sia concisa con la perdita di una persona tra le più care che avevo al mondo, che di quel libro è stato, per così dire, il diretto responsabile. È stato infatti Libero De Rienzo, l’indimenticabile Picchio, a portarmi in casa, un giorno d’estate del 1997, Gina, la protagonista del libro, il cui muso dolcissimo e angosciato campeggia sulla copertina.
Piccolo principe
Picchio aveva vent’anni, e non era ancora l’attore straordinario che tutti ricordano, ma in tanti già lo adoravamo per quello che era, e che in fondo è sempre rimasto crescendo: un incantevole piccolo principe ribelle, sempre capace di esercitare in modo imprevedibile le virtù — solo in apparenza inconciliabili — dell’ironia più dissacrante e della compassione più priva di calcolo. Gli piacevano profondamente tutti gli esseri che sembravano venuti al mondo con la luna per traverso, per un motivo o per l’altro. E giustamente, aveva orrore di tutti quei meccanismi sociali fondati sull’affermazione, sul successo, sulla prestazione ben riuscita, sia nel campo del lavoro che in quello della vita affettiva. Amava molto leggere, e usava casa mia (ero molto più adulto di lui) come una specie di biblioteca, trascorrendo innumerevoli pomeriggi stravaccato sul divano e immerso in qualche libro che finiva per portarsi via, quando spariva per chissà dove, giurando di riportarmelo (ovviamente, non ne ho mai rivisto uno). Amava più di ogni altro due autori raramente o mai accostati dalla critica letteraria, Thomas Bernhard e James Ellroy. E in realtà, l’idea della vita umana che emerge dal raffinatissimo prosatore austriaco e dal maestro californiano dell’hard boiled toccavano quello che era il nervo emotivo più sensibile di Picchio, che è sempre stato un amore assoluto della verità senza nessuna forma di consolazione.
Il regalo
Quanto a Gina, confesso che sulle prime il regalo non mi era affatto piaciuto. Mi angosciava l’idea di accudire quell’esserino tremebondo e incapace di tranquillità, scovato da Picchio nel fondo di una gabbia del canile municipale, dove aspettava il suo destino con quell’atteggiamento di totale passività che avrei presto imparato a riconoscere come il tratto più essenziale del suo carattere. Come ho cercato di raccontare nel mio libretto, Gina sembrava disposta ad assumersi tutte le colpe del mondo. E amava con tale disperata intensità qualunque umano che le facesse una sola carezza, da non distinguere i suoi padroni, che provvedevano quotidianamente a tutti i suoi bisogni, dal primo che passava per strada. Questo perpetuo bisogno di amore, unito all’idea fissa che da un momento all’altro potesse essere rispedita al canile, dove nessun Picchio l’avrebbe più potuta salvare, si univa all’irrimediabile, spassosa goffaggine di tutti i movimenti. Se gli lanciavi una palla, tanto per fare un esempio tra mille, lei tutta felice cominciava a seguirla, per poi piantarsi a metà del tragitto, come se si mettesse sull’attenti, in attesa di ordini ulteriori. Passavamo molto tempo a studiarla, tentando in ogni modo di rassicurarla, di renderle in qualche modo più facile quella vita che sembrava destinarla a un ritmo alternato di umiliazioni e spaventi. L’innata, involontaria comicità di quella cagnetta sembrava conciliare le profondità metafisiche di un Buster Keaton con la dadaistica idiozia di un Mister Bean. Eppure, in qualche modo misterioso, Gina era anche felice. Sotto la sua aria derelitta, godeva di vitalità e buona salute. E se gli umani intorno a lei erano felici, lei lo percepiva come un suo merito, acciambellandosi a dormire ai loro piedi soddisfatta come una nonnetta centenaria circondata dai suoi nipotini.
Appunti
Non posso tacere, a questo punto, che Picchio era convinto che la presenza di quell’animale nella mia vita avrebbe avuto conseguenze artistiche capitali nella mia carriera di scrittore. Mi incitava a prendere appunti, a redigere una cronaca delle difficili giornate di Gina. E aveva ragione: molto più di quanto lui stesso, provocandomi con quel regalo, aveva immaginato. Perché a un certo punto, pur avendo già pubblicato dei libri e avendo progetti di tutt’altra natura, mi ero reso conto che Gina era non tanto l’emblema, ma l’incarnazione vivente e scodinzolante di quello che andavo cercando, e non avevo ancora trovato, con la scrittura. Non mi è mai capitato, nella mia vita, un cambio di rotta così decisivo. Non solo ci ho messo anni a trasformare gli appunti «etologici» che Picchio mi aveva spronato a scrivere in un testo in qualche modo compiuto, non sapendo nemmeno spiegare a me stesso il senso reale di un investimento così totalizzante; ma da quel momento fino a oggi, che sono arrivato sulla soglia della vecchiaia e di libri ne ho scritti molti altri, ho avuto la sensazione che, qualunque fosse l’argomento di cui parlassi, chiunque fosse il personaggio che descrivevo, c’era sempre qualcosa di Gina che tornava fuori nelle maniere più impreviste.
Tranquillità
Non so spiegarmelo in maniera lucida, ed è sempre difficile parlare di ciò che si scrive, ma tutti gli esseri viventi che mi attirano sono privi, come quella cagnetta, di tranquillità, e su questa terra non si sentono mai completamente a casa propria. Hanno sempre paura che qualcuno li riporti al canile, eseguendo un’imperscrutabile sentenza kafkiana. E in questa incapacità di adattamento vedo una luce, una bellezza, una dignità tali da mettere in ginocchio talenti ben maggiori del mio. Ma non si tratta di essere uno scrittore grande o minore — chi se ne frega ! — si tratta di imparare, di continuare a imparare come sui banchi di scuola, come ha scritto Sandro Veronesi nella bellissima prefazione che ha voluto regalarmi per questa nuova edizione. Picchio e Gina mi hanno insegnato tantissimo, e soprattutto mi hanno insegnato ad imparare, che è la scienza più difficile a prescindere dal suo contenuto apparente e momentaneo. Oggi non vedo più in questo libro qualcosa che ho creato, ma qualcosa che ho solo provato, in minima parte, a restituire.
di Emanuele Trevi
23 Agosto 2021
(Fonte IL CORRIERE DELLA SERA | Cronache)