Petretti, biologo e docente: «Cinghiali a Roma? Colpa dei rifiuti. Ma la biodiversità potrebbe attrarre turismo»

Il presidente della Fondazione Bioparco: «Dobbiamo rispettare l’ecosistema». A causa del lockdown, per la penuria di cibo in strada, dimezzata la popolazione di gabbiani reali: «Sono andati altrove, è una lezione che dovremmo imparare»

« Guardi lo dico subito, noi dovremmo essere felici di vivere in una città con un ecosistema così ricco di flora e fauna, invece ne facciamo un problema». Parlare con Francesco Petretti, presidente della Fondazione Bioparco, professore di Biologia della Conservazione all’università di Perugia e Wildlife Management all’università di Camerino, è come fare un viaggio nella natura a noi molto vicina. Per questo ha scritto «Luoghi quasi selvaggi» (Edizioni Le Orme), in cui racconta di posti (c’è anche Roma) che conservano un affascinante legame con il mondo naturale.

Dovremmo essere contenti che i cinghiali rovistano nei cassonetti sotto casa?
«È colpa nostra! Il cinghiale starebbe meglio nel bosco al fresco, non sul caldo asfalto. Ma ha un olfatto eccezionale e da chilometri sente l’odore di leccornie a portata di muso».

La nostra immondizia?

«I nostri avanzi sono cibo di ottima qualità, dalle verdure alla carne c’è tutto quello serve a un onnivoro come lui».

Quindi li incontreremo sempre?
«Fino a quando il nostro malcostume produrrà queste condizioni. Se le strade fossero pulite e i cassonetti liberati subito dal pattume il cinghiale e gli altri animali resterebbero nelle aree verdi a mangiare quello che trovano lì. E comunque negli Usa hanno risolto».

Come?
«Hanno inventato cassonetti a prova di orsi e procioni, insieme alla pulizia assidua e costante, questa è la soluzione del problema».

Invece dell’abbattimento?
«Ogni anno in Italia da ottobre a gennaio vengono uccisi circa 1 milione e mezzo di ungulati; 100 mila, circa, solo nel Lazio. Credo sia sufficiente. La verità è che noi dovremmo imparare da quello che ci accade».

Cosa intende?
«Durante questi due anni di lockdown la popolazione di gabbiani romani si è dimezzata. Mancavano i turisti, le persone, con i ristoranti e i locali chiusi, i gabbiani hanno trovato meno cibo in strada. Quando c’è penuria di risorse la natura si adegua. Le coppie sono passate da fare 2,5 piccoli ciascuna a farne 1,5, oppure nessuno. Molte coppie sono andate altrove a riprodursi, quindi questa popolazione ora è più equilibrata. È una occasione per fare tesoro di questa ridimensionamento naturale. Ne saremo capaci?».

A chi lo chiede?
«A noi essere umani, perché la natura è perfetta. Per esempio i gabbiani reali se non trovano i nostri avanzi in strada non muoiono certo di fame: sono grandi cacciatori di topi e ratti. Noi viviamo all’interno di un sistema ecologico che dovremmo valorizzare anche a fini turistici».

In che modo?
«Roma è unica, è attraversata dal verde e circondata dal verde, in città abbiamo 150 specie diverse di animali tra uccelli, mammiferi, rettili, anfibi e pesci. Una biodiversità che racconta un tessuto ancora vitale, che molte megalopoli ci invidiano. Si potrebbero fare tour urbani con il binocolo a scoprire spettacoli pazzeschi accanto ai monumenti».

Quali?
«Per esempio la coppia di Casarche che ogni anno torna a deporre uova, a far nascere i piccoli sulla chiesa di Sant’Ignazio. È affezionata solo ai tetti del centro storico di Roma».

di Maria Rosaria Spadaccino

(Fonte IL CORRIERE DELLA SERA |Roma Cronaca)