La zoologa e ricercatrice, da oltre 10 anni studia gli esemplari italiani. “Non dobbiamo avere paura ma imparare a conviverci. È normale che si avvicinino ai centri abitati. Ma proteggiamo i nostri animali domestici dai pericoli”
Più che un appello un “ululato”, un richiamo sociale affinché la nostra società – proprio ora che vive un momento critico per la pandemia – faccia quel passo in più che servirebbe davvero a contribuire alla salvaguardia della biodiversità, della conservazione della natura. Lo si potrebbe definire così, il desiderio della “ragazza dei lupi”. Mia Canestrini, zoologa, ricercatrice che da oltre dieci anni studia i lupi italiani, protagonista di diverse trasmissioni tv e radio, autrice del libro “La ragazza dei lupi” è oggi impegnata nel primo monitoraggio nazionale di questi splendidi animali, è convinta che per riuscire a proteggere la biodiversità che stiamo perdendo serva coinvolgere sempre più persone, soprattutto le nuove generazioni, e farlo attraverso «tutti gli strumenti, che prima non c’erano, che oggi la scienza ha a disposizione: come i social, per divulgare e parlare ai giovani», racconta a Green&Blue. E, spiega la “lupologa”, “quando ho iniziato io c’erano pochissime donne ad interessarsi di lupi, mentre ora sempre più ragazze dimostrano una nuova attenzione per la natura e la convivenza con questi animali. Spero che l’Italia diventi più attrattiva, per chi vuol fare scienza, soprattutto per le donne”.
Quando sente la parola biodiversità a cosa pensa?
“Alla Terra in difficoltà. A quanto diverse specie stanno soffrendo tra crisi climatica, inquinamento, perdita di habitat, urbanizzazione. Io da più di dieci anni mi occupo soprattutto di lupi, la mia specialità, e nel loro caso la perdita di biodiversità è soprattutto negli habitat in cui vivono. Se parliamo solo di lupi, qui ci sarebbero due biodiversità da raccontare”.
Quali?
“Il lupo è un animale particolare, perché se è vero che ha rischiato l’estinzione in passato – e negli anni Settanta in Italia si contavano appena tra i 100 e i 300 lupi – in realtà questo era dovuto soprattutto alla caccia. Ma grazie alle leggi per la loro protezione si sono adattati e ripopolati e senza caccia direi che non corrono grandi rischi. È invece diverso se per esempio parliamo di biodiversità genetica, in questo caso un elemento critico per la conservazione del lupo è proprio la scoperta continua di esemplari che hanno nel loro albero genealogico un antenato cane”.
Ci sono molti ibridi?
“Diciamo che stiamo riscontrando sempre più incroci fra lupi e cani, confermati localmente da analisi genetiche di lupi che hanno un contenuto canino, probabilmente di un trisavolo o chissà quale cane del passato. Dal punto di vista conservazionistico questa può essere una minaccia e come influiscono queste varianti genetiche di origine domestica in popolazioni selvagge a livello di impatto è difficile da ipotizzare. Ma, per esempio, abbiamo riscontrato alcune caratteristiche morfologiche selezionate dalla natura, come molti lupi che oggi hanno un mantello color crema, tigrati, nero focato oppure con strane pezzature che non sono tipiche del lupo selvatico. E se le colorazioni in natura hanno una funzione, per esempio per caccia e comunicazione, queste alternative derivate dal cane stanno deviando il percorso genetico del lupo e aprendo a nuove strade che non conosciamo”.
La via selvatica – Mia Canestrini: “Il ritorno dei lupi”
Lei insegna a proteggerli, a come conviverci, anche perché – come ha ripetuto più volte – cercava i lupi e ha trovato se stessa.
“È vero, e ora provo a fornire e divulgare le giuste attenzioni per questa convivenza uomo lupo. Ricordo sempre che è normale che i lupi si avvicinino ai centri abitati e non bisogna avere paura, è il meccanismo con cui i primi lupi centinaia di migliaia di anni fa si sono auto-addomesticati e poi attraverso l’intervento diretto uomo si è arrivati al cane. Il lupo per opportunismo si avvicina dove c’è cibo: non c’è bisogno di preoccuparsi, ma se si abita in zone di lupi è bene adottare comportamenti compatibili con la convivenza col predatore. Per esempio non lasciare animali domestici incustoditi all’esterno nelle ore notturne, così come evitare di lasciare umido o mangimi all’aperto perché potrebbero attirarli”.
Prima del successo com’è stato essere “la ragazza dei lupi” in un mondo di maschi al vertice?
“A volte mi sono sentita abbastanza sola, ma non ero l’unica donna, nonostante il mio sia un ambiente che tende ad essere più maschile che femminile. Ma le cose lentamente cambiano. Per esempio il monitoraggio nazionale lupo, che stiamo facendo per la prima volta in Italia, ha quattro coordinatrici e sono tutte donne. Una prima volta anche per un team lupo tutto coordinato da figure femminili. Direi che se prima quello del lupo era un mondo di baronetti, adesso è di lupesse donne. Però credo che finché in Italia si sente l’esigenza di istituire eventi, manifestazioni o associazioni in cui viene valorizzato il ruolo delle donne nella scienza significa che la parità ancora non c’è. Bisogna ancora lavorare molto per la parità di genere”.
Cosa consiglia ai giovani che vogliono diventare zoologi?
“Devo dire, da quando ho pubblicato il libro e fatto interventi in televisione, che moltissimi giovani soprattutto in età da liceo mi chiedono cosa ho studiato, oppure mi contattano sui social network ragazze dell’università che non hanno le idee molto chiare, chiedendomi come fare la mia professione, spesso pensando che questo sia un ambiente ostile, difficile. Io consiglio di non mollare, magari di andare all’estero a fare un po’ di esperienza. Dopo quindici anni di militanza nella conservazione in Italia se tornassi indietro io per prima andrei all’estero, magari in Inghilterra. Oppure oltreoceano, in Usa o Canada, dove è molto più valorizzato questo lavoro rispetto all’Italia o al sud Europa”.
Intende in termini economici?
“Fare scienza o ricerca in Italia spesso significa avere un ritorno che ti serve giusto per sopravvivere a meno che, come sto provando a fare, non si stratifica con attività di divulgazione. Perché altrimenti il trattamento economico è davvero pessimo rispetto per esempio a nord Europa o oltreoceano, dove si hanno più opportunità di carriera. Quello che qui si ignora è che se le persone che si occupano di scienza sono gratificate anche dal punto di vista economico o di carriera, c’è un entusiasmo diverso. Invece sempre più spesso qui mi capita di vedere molti colleghi mollare, anche dopo 20 anni, e cambiare lavoro perché con i mille euro al mese di un progetto di conservazione non riesci anche a portare avanti progetti di vita”.
Se non avesse studiato i lupi, quali altri animali avrebbe voluto proteggere? E quali sono i suoi progetti futuri?
“Devo dire che ho sempre avuto un occhio verso i primati. Da giovane mi vedevo partire per il Tropico del Capricorno a seguire le orme di Jane Goodall, ma mi sono ritrovata a seguire quelle dei lupi. E sono felice così”.
di Giacomo Talignani
22 Maggio 2021
(Fonte LA REPUBBLICA)