49 anni fa moriva Dino Buzzati. Aveva solo 65 anni: quante altre ombre notturne, quante Milano del sottosuolo ci avrebbe ancora raccontato. Sempre con quella tacita domanda: quale destino ci attende, infine.
Ho riletto “Il cane che ha visto Dio”, uno dei suoi più enigmatici racconti. Un vecchio eremita vuole convertire Tis, paese di senzadio. Il suo cane, Galeone, va ogni giorno nel villaggio a rubare una pagnotta al fornaio. L’eremita muore e a Tis si continua a dimenticarsi di Dio, ma il cane ricompare. È ovunque, entra in ogni casa, vede tutto con i suoi occhi buoni. La gente – è il cane dell’eremita, ha forse visto Dio? – ne ha una superstiziosa paura: lo sfama di notte, ma apertamente lo ignora. Vagamente intimoriti, però, tornano a Messa, cercando d’essere più bravi.
Galeone, ormai vecchio, un giorno s’ammala e giace paralizzato in piazza. Gli portano cibo di nascosto ma lo lasciano agonizzare solo, sotto la pioggia. Vanno infine a seppellirlo accanto all’eremita: con sgomento, però, trovano già accanto alla tomba del vecchio lo scheletro del suo cane.
Se dunque non era Galeone, quel randagio che vedeva nel cuore degli uomini, tenuto buono per paura ma abbandonato a morire solo, chi era? A Tis, vero, facevano i bravi adesso, ma nessuno aveva accolto il misterioso, sconosciuto cane. E io vorrei chiedere a Buzzati: ma quel cane, veramente, chi è?
28 gennaio 2021
(Fonte L’Avvenire)