Corea del Sud, chiudono le «fattorie dei cani» allevati per il macello

Sempre meno richiesta di carne di cane: chiude un altro degli allevamenti più grandi del Paese per l’iniziativa di un gruppo che fa base negli Stati Uniti che ha salvato decine di animali

DAL NOSTRO INVIATO
NANCHINO – C’erano dei grandi mastini, dei terrier, dei labrador e dei jindo, cani da caccia noti per la fedeltà assoluta al padrone. Erano in un allevamento a Haemi, in Sud Corea, dove venivano fatti crescere chiusi in gabbie sporche e strette. Perché lo scopo non era di prepararli alla vita in una famiglia, ma di farli aumentare di peso per venderli come carne da macello.

Quella dei mastini e dei jindo e dei golden retriever era una delle 2.800 «fattorie dell’orrore» che ancora commerciano carne di cane in Corea, per un mercato di consumatori che segue una tradizione vecchia di mille anni. Una tradizione da estirpare. E questa della fattoria di Haemi è una storia a lieto fine: i 170 animali destinati ad essere uccisi e fatti a pezzi sono stati liberati. Li ha soccorsi Humane Society International, gruppo basato negli Stati Uniti che si batte con campagne di informazione e azioni sul campo per chiudere questa usanza basata su anacronistiche credenze salutiste diffusa in Asia, dalla Corea alla Cina, alla Cambogia e fino in alcune regioni dell’India. Gli inviati del gruppo animalista sono andati dal proprietario dell’allevamento, gli hanno comperato tutti gli esemplari e lo hanno convinto a chiudere la sua attività.

E’ il diciassettesimo successo di Humane Society in Corea. Cani liberi e gabbie aperte per sempre: a chiudere è l’allevamento. I 170 cani sono stati portati negli Stati Uniti e ora assistiti da veterinari e veri allevatori si stanno riprendendo dal trauma prima di essere dati in adozione. Resta molto a fare, perché il consumo di carne di cane è ancora legale in Corea, ma i sondaggi dicono che la richiesta sta calando costantemente e drasticamente: oggi l’84% dei sudcoreani dice di non averne mai mangiato e assicura di non averne alcun desiderio; nel 2018 la percentuale era del 70%. E nessun coreano sotto i 50 anni assaggerebbe mai la carne di cane, che ancora i più anziani credono abbia influssi benefici e rivitalizzanti sull’organismo umano, soprattutto se consumata bollita nei giorni più caldi dell’estate.

Il calo della domanda e la nuova sensibilità hanno spinto le autorità sudcoreane a chiudere negli ultimi due anni i due più grandi mercati della carne di cane: il Moran di Seongnam, a sud di Seul e il Gupo nella città di Busan. Nel 2019 Seul ha dichiarato di aver fatto chiudere tutti i macelli della sua municipalità. Un altro sondaggio rileva che il 59% della gente è a favore del divieto di consumo di cani: un confortante aumento del 24% rispetto al 2017. La liberazione dei 170 cani della fattoria di Haemi è stato un sollievo anche per il proprietario. «Ero in questo ramo da quarantanni, ma ormai la gente ha cambiato mentalità e anche io ho deciso di cambiare lavoro» ha detto Kim Il-hwan all’agenzia Upi. E ha concluso: «Non la mangio più neanche io quella carne e sono felice che i miei cani ora siano stati portati in un bel posto». Il pentimento sembra sincero, ma per maggior sicurezza gli inviati di Humane Society hanno offerto al signor Kim un compenso in denaro per incentivarlo a cambiare attività.

(Fonte IL CORRIERE DELLA SERA /ESTERI)