Quando si dice un amore senza confini. Grazie a lei e al suo team almeno settemila cani hanno trovato una famiglia e a centinaia ogni anno vengono raccolti, accuditi e coccolati in attesa di adozione. Sara Turetta, classe 1973, è una delle protagoniste dell’attivismo internazionale per i diritti degli animali. Ha meno di trent’anni quando viene a sapere dei massacri dei cani randagi in Romania, decide di mollare tutto e partire per Bucarest. Si trasferisce a Cernavoda, tra il Danubio e il Mar Nero e dopo anni di battaglie contro violenze e corruzione, nel 2005 fonda Save the dogs and Other Animals Italia che ogni anno cura oltre duemila cani e ne ospita centinaia nel rifugio Footprints of joy. Per il suo impegno ha ricevuto numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali, tra cui la nomina a Cavaliere della Stella d’Italia da parte del Presidente della Repubblica (2012). Il 3 settembre uscirà il suo libro “I cani, la mia vita” (Sonda Edizioni, 208 pagine, 18 euro) che verrà presentato a Roma al Festival Insieme (1-4 ottobre), i diritti d’autore saranno devoluti a Save the Dogs.
Come è cominciato tutto?
«Sono nata a Vercelli, a 28 anni vivevo a Milano, lavoravo alla Saatchi & Saatchi ed ero lanciata nella carriera pubblicitaria. Amavo da sempre i cani, e dai tempi dell’università facevo volontariato nel rifugio di Pieve Fissiraga, nel Lodigiano e mi occupavo degli animali maltrattati nelle cascine di Milano Sud. Nel 2001 per caso ho letto un articolo sui canili di Bucarest, c’erano con foto di cadaveri di cani scuoiati e altri orrori. Mi sembrava un massacro troppo vicino per non intervenire. Vedevo che c’era Brigitte Bardot che si adoperava per questi cani, che cercava di intercedere col presidente, ma invano. Così, con mio marito e altri due volontari, ho preso le ferie e sono partita».
Che situazione ha trovato in Romania?
«È stato uno choc, il randagismo era gravissimo, fuori controllo, dappertutto c’erano cani vaganti, spesso malati e moribondi, i canili erano gironi infernali, nell’indifferenza di tutti. Fino a dieci anni fa in Romania i cani nelle case erano solo quelli da guardia, da lavoro, tenuti alla catena. Adesso si cominciano a vedere nelle città anche cani di razza, ma allora era veramente un disastro».
E dopo la “vacanza” cosa è successo?
«Che non sono più riuscita a tornare alla mia vita di prima, il tarlo non se ne andava, così ho dato le dimissioni dall’agenzia e sono partita per la Romania dove sono stata 4 anni da sola, in questo posto sperduto a 200 km da Bucarest. Ho aperto un rifugio, poi me l’hanno portato via, Ho ricominciato in un altro edificio, un ex obitorio, l’ho ristrutturato e ho aperto una piccola clinica veterinaria per fare soprattutto le sterilizzazioni».
Come racconta nel suo libro, adesso lì è tutto molto diverso…
«Da 8 anni abbiamo un centro meraviglioso sulle colline, il rifugio più bello della Romania e dal 2017 una clinica veterinaria di 800 metri quadri per gli animali delle persone più povere, nonché un pronto soccorso per cani e gatti. Ho uno staff di 45 persone che lavora lì. E anche un santuario per equindi abbandonati, con 62 asini e 15 cavalli maltrattati».
E lei cosa fa?
«Per 12 anni ho fatto la pendolare tra Milano e la Romania, adesso ci vado 3-4 volte all’anno, nel 2018 ho creato la sede italiana. E l’anno scorso ho lanciato il progetto “Non uno di troppo, li amiamo e li sterilizziamo”, tra Napoli e Castel Volturno, per combattere anche lì il randagismo. In un anno abbiamo sterilizzato 300 cani, poi il lockdown di ha fermato. Speriamo di riuscire a moltiplicare gli interventi nel Sud d’Italia, il problema esiste, anche se i cani non vengono uccisi. Adesso vivo a Milano, partecipo a conferenze internazionali, l’associazione si è fatta un nome in Europa».
Ma un cane suo suo ce l’ha?
«Certo! È Amelie, una cagnolina rumena che ho trovato alla catena in una baraccopoli rom, una peste adorabile, non ci separiamo mai».
di Francesca Nunberg
Venerdì 28 Agosto 2020
(Fonte IL MESSAGGERO – ANIMALI)