Dopo il Covid – Fermiamo il contagio da plastica

In Italia abbiamo già usato un miliardo di mascherine monouso al mese e mezzo miliardo di guanti. Proteggono noi, ma rischiano di uccidere l’ambiente. Spiega l’esperto: “Vanno smaltite nell’indifferenziato. Sta a noi salvarci da una pandemia di usa e getta”. Ecco come

di Betta Carbone

Nel mese di aprile ogni giorno 35/40 milioni di italiani hanno usato la mascherina anti contagio. Un milione di mascherine al mese, mezzo miliardo di guanti, (stime Politecnico di Torino). Ma se il virus in qualche mese scomparirà, l’usa e getta rischia di rimanere nell’ambiente a lungo. E se un anno fa sembravamo convertiti alla borraccia etica al posto delle bottigliette di plastica, adesso siamo circordati dall’usa e getta: visiere, asciugamani spesso avvolti in sacchetti, ciabatte, camici monouso d’obbligo dal parrucchiere come dall’estetista. Risultato? A fine anno avremmo prodotto 300mila tonnellate di rifiuti da dispositivi monouso (dati Istituto superiore protezione e ricerca ambientale). Già troppi ne vediamo abbandonati per strada. In poco tempo arriveranno al mare dove, trasparenti e leggeri, verranno scambiati per meduse da pesci e uccelli marini. Proprio adesso che la pandemia dovrebbe avere insegnato che i comportamenti sbagliati dell’uomo verso la natura procurano emergenze sanitarie.

Meglio riutilizzabili

Eppure qualche soluzione c’è. Sia il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa che il presidente dell’Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, più volte hanno suggerito: ” Usiamo le mascherine multiuso, quelle lavabili e riutilizzabili, che sono sicure quanto quelle monouso, anche perché le chirurgiche sono efficaci due, al massimo sei ore”. Le mascherine chirurgiche usa e getta e i guanti monouso vanno smaltiti con attenzione, come ci spiega con accortezza Edo Ronchi, ex ministro dell’Ambiente e presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile: “Vanno messi in sacchetti e poi gettati nell’indifferenziato di casa, ben chiusi e separati dal resto. Naturalmente è un comportamento prudenziale. Se poi si è positivi al virus bisogna avvisare il servizio di raccolta del proprio comune perchè i rifiuti vengano prelevati e trattati con le accortezze che si usano per quelli sanitari. Per fortuna ormai ci sono pochi casi. Se il calo dei contagi diminuisce dovrebbe diminuire anche l’uso di mascherine e guanti, tanto più che questi ultimi. ora lo dice anche l’Oms, non sono così necessari: meglio lavarsi bene e spesso le mani. E meno male che abbiamo scansato il rischio di avere le barriere di plexiglas nei ristoranti o a scuola! Ora che siamo fuori dall’emergenza possiamo anche cercare con calma le mascherine tessili, che hanno tutti i requisiti di sicurezza“. Ricordiamo tutti le storie virtuose in piena fase 1 di sartorie riconvertite alla produzione di mascherine e camici. Riconversioni rapide che non stupiscono Ronchi: “In Italia le aziende sono da anni attente al tema della Green economy e capaci di riconvertirsi. Siamo tra i migliori in Europa nel riciclo degli imballaggi e nel riutilizzo dei rifiuti speciali. La plastic tax, per quanto rimodulata, è ancora in vigore e sono molte le imprese che adesso considerano di inserire nel ciclo produttivo materiali riutilizzati, dalla plastica ai vecchi tessuti. Una volta si faceva ma non si diceva, veniva considerata una produzione povera. Ora fa anche chic comunicarlo”.

Riciclato etico e firmato

Riciclare è bello e vantaggioso dunque La Crocco Spa, di Vicenza, azienda leader nel settore degli imballaggi flessibili, si è inventata un innovativo packaging in plastica che fino al 60% arriva dal riciclo. Per coprire e conservare in frigo gli alimenti, invece, al posto della pellicola trasparente che è tra le prime cause di inquinamento da micro plastica, all’Università di Pisa è allo studio una pellicola per alimenti di origine naturale profumata ed ecologica al cento per cento: ricavata da gusci di granchi, gamberi e anche insetti. Quanto all’abbigliamento, proprio in piena pandemia da un sondaggio del colosso dell’online Zalando è emerso che la metà degli acquirenti si aspetta attenzione all’ambiente e il 30% smetterà di acquistare brand non etici. Non a caso persino Adidas o Nike fanno a gara a chi inventa la calzatura dal ciclo produttivo meno inquinante.

Una nuova normalità

Ma con tutto l’usa e getta necessario in molte attività e con il bisogno di recuperare profitto e Pil persi a marzo e aprile che cosa accadrà? Ronchi non è del tutto fiducioso. “In Cina, dopo il lockdown, pur di trovare energia a basso costo hanno bruciato il 30% in più di carbone, altamente inquinante, rispetto ai livelli del 2019. Si dice “tornare alla normalità”. Si dovrebbe cercare una nuova normalità in cui, come abbiamo imparato nei mesi in cui il coronavirus ci ha costretti in casa, si vive bene lo stesso andando a piedi nel negozio di quartiere invece che in auto nel supermercato lontano. A buon senso, col calare della pandemia dovrebbe calare anche l’utilizzo di usa e getta e gli italiani dovrebbero tornare a differenziare i rifiuti con l’attenzione che avevano imparato ad adottare negli ultimi anni, e che negli ultimi mesi si è un pò persa. Ma purtroppo dopo ogni periodo di recessione si parla di “rebound effect”, effetto rimbalzo, una sorta di ubriacatura di consumi, in cui non si va troppo per il sottile. Un’ansia da normalità che ci fa perdere di vista il fatto che invece di tornare a quella di prima, possiamo costruire una nuova normalità, imparando da quel che si è vissuto. Ambiente più pulito, smart working ove possible anche per avere meno auto in giro, shopping quando serve sono le lezioni del Covid: teniamole a mente.

 

Giugno 2020 

(Fonte Diva e Donna n. 25)