Una flotta giapponese ha ucciso “a scopi di ricerca” 122 femmine di cetaceo incinte.
L’Attivista australiana che ha dedicato la sua vita a proteggere questi mammiferi spiega perché bisogna intervenire al più presto
Di Maria Teresa Cometto da New York
Orrore, tristezza, rabbia. Vedere i corpi martoriati di queste future mamme e dei loro figli non nati scatena in me, madre di due bambini di 1 e 3 anni, una pioggia di emozioni sconvolgenti. E mi spinge a impegnarmi ancor di più perché questi massacri finiscano”. Da Sidney, in Australia, l’attivista e manager della organizzazione animalista Humane Society International (HSI), Alexia Wellbelove, condivide con Grazia la sua reazione all’ultima strage di balene da parte di una flotta giapponese nelle acque dell’Antartico. Le vittime sono state 333 balenottere, di cui 122 incinte. A ucciderle è stata una spedizione di ricercatori prevista dal programma scientifico del governo di Tokyo per studiare le caratteristiche e le abitudini alimentari dei cetacei che nuotano tra l’Australia e il Polo Sud. “E’ assurdo giustificare la mattanza con uno scopo scientifico”, spiega Wellbelove, laureata in Zoologia. “Sappiamo benissimo che tutti i dati che i giapponesi dicono di ottenere in questo modo si possono ricavare con approcci non dannosi per gli animali. Il problema è che il Giappone si rifiuta di rispettare il bando internazionale alla caccia delle balene per un motivo culturale. Ma la tradizione di mangiare carne di quegli animali ormai non è più cosi popolare nel Paese, i giovani hanno un’altra sensibilità”. Nulla giustifica la crudeltà con cui le balenottere vengono uccise, continua Wellbelove: “La caccia avviene utilizzando arpioni con punte munite di granate esplosive e gli esemplari catturati non muoiono subito. Di solito impiegano 30,40 minuti, ma a volte l’agonia dura anche ore. Queste creature marine sono speciali: sono bellissime, in genere pacifiche. Le femmine hanno una gravidanza di dieci mesi, quasi come noi donne. E le mamme allattano i piccoli per cinque mesi circa, poi comunque restano vicine a loro. Sapere che ne sono state ammazzate 122 con in piccoli in grembo è stato scioccante”.
Fin dal 1986 la Commissione internazionale sulla caccia alle balene, la Iwc, aveva ingiunto la fine di questa pratica. Ma i Paesi che la praticavano di più, e in particolare il Giappone oltre alla Norvegia e all’Islanda, hanno sempre cercato di allentare il divieto su certe specie. E Tokyo ha continuato la caccia motivandola con scopi scientifici. In passato gli ambientalisti hanno cercato di fermare le baleniere con azioni di guerriglia marina, ma da qualche anno non è più possibile perché le nai nipponiche sono difese in modo militare.
“Nel 2008 la mia organizzazione aveva ottenuto una vittoria storica quando il Tribunale federale australiano aveva dichiarato che le missioni giapponesi nelle acque australiane violavano le leggi del nostro Paese e aveva ordinato di smettere”, ricorda Wellbelove. “Ma anche quell’ordine non è stato rispettato. Poi nel 2014 la Corte internazionale di giustizia dell’Aja, il tribunale più importante della Terra, aveva sentenziato che quelle azioni erano illegali e dovevano finire. Ma non è stata ascoltata”.
Nel 2015 il Giappone ha ripreso a mandare le sue baleniere nell’Oceano Antartico. “Così siano tornati ad appellarci alla Corte federale dell’Australia per fermarle” continua Wellbelove. “Io sono impegnata in prima linea con gli avvocati della nostra organizzazione. Faccio parte anche della delegazione australiana alla Iwc. Credo che dobbiamo fare di più per proteggere le specie animali e il loro habitat nel mondo. E non smetterò di battermi fino a quando anche le balene mamme potranno vivere senza paura”.
(Fonte settimanale Grazia)