Il profondo legame tra i turchi e i felini che popolano la capitale nel documentario “Kedi” dell’esordiente Ceyda Torun: “Per l’Islam sono un simbolo di purezza, anche Maometto ne era appassionato”.
di Ilaria Ravarino
IL FILM
Si chiamano Gamsiz, Bengù, Duman, Deniz e hanno realizzato il desiderio che ogni felino, dalla notte dei tempi, cova sotto ai baffi: trasformare un’intera città nella propria cuccia personale. Succede a Istanbul, 150 mila gatti per quasi 15 milioni di abitanti, megalopoli della Turchia ma soprattutto capitale dei gatti randagi, sostenuti, coccolati e viziati “come vacche sacre in India” dalla popolazione locale fin dai tempi degli Ottomani, quando le varietà di felini locali cominciarono a mescolarsi con quelle europee portate dalle navi mercantili sul Bosforo.
A raccontarlo è Ceyda Torun, regista turca esordiente, che nel documentario Kedi (“gatto” in turco), al cinema da oggi, ha provato a descrivere il profondo rapporto che lega i suoi concittadini ai felini. Perché se pure la media di gatti pro capite a Istanbul non supera quella record di Roma – dove vivono 300 mila gatti per meno di un quinto degli abitanti della metropoli sullo stretto – lo status di quegli animali nella città turca non ha pari altrove. Qui non esistono colonie, ma “giardini” curati dall’amministrazione locale e dedicati ai randagi, come il Nisantasi Sanat Parki, rifugi specifici per gatti collocati in tutti i quartieri e pagati dai residente, addirittura una statua di bronzo costruita nel 2016 come tributo ai felini.
OLTRE LA REALTÀ’
L’origine di un simile amore spiega la regista, affonderebbe le radici nella cultura e più profondamente nella religione turca. “L’Islam un fattore molto importante che incide sull’approccio generale dei turchi verso i gatti. I felini sono citati spesso nel Corano e lo stesso Maometto ne era appassionato”. Secondo la tradizione Maometto sarebbe stato salvato da un gatto che lo avrebbe riparato dall’attacco di un serpente velenoso: in cambio, il profeta avrebbe donato ai felini la possibilità straordinaria di poter guardare oltre la realtà sensibile. Simbolo di purezza per l’Islam (“Se hai ucciso un gatto – dice un popolare detto turco – devi costruire una moschea per farti perdonare da dio”) il gatto a Istanbul è libero di circolare ovunque, nelle vetrine dei negozi come in moschea: celebre, nel 2010, fu la visita di Obama alla Basilica di Santa Sofia, quando l’allora presidente statunitense finì a sorpresa in mezzo a una colonia di 20 gatti. Percepito come una creatura perfettamente felice anche senza una casa o un gattile cui appartenere, “il gatto più felice – dice la regista – è quello che vive a cavallo tra i due mondi, che ha cioè la libertà di andare dove vuole e il comfort di un essere umano da cui tornare quando ne ha bisogno”.
Per il suo documentario, sostenuto in Italia dall’ Enpa (Ente nazionale protezione animali), Torun ha scelto un approccio il più possibile realistico alla natura felina. “Non volevo antropomorfizzare i gatti, né riprodurre l’effetto “gattino” dei social media – ha spiegato – perciò non ho mai provato a manipolare le loro performance. La mia strategia è stata quella di osservare i gatti con pazienza e aspettare che agissero secondo la loro routine quotidiana”. Per fare ciò è stato necessario servirsi di tecniche di ripresa particolare, “che mi permettessero di seguire i gatti orizzontalmente, lungo i vicoli della città, e verticalmente, sui tetti”: macchine da presa legate a lunghi sostegni per le riprese rasoterra o nei tombini (spettacolare quella notturna della caccia al topo), droni per seguire i gatti in cima alle finestre, un lavoro certosino condotto su 35 animali poi ridotti a sette nella versione definitiva del film. Sullo sfondo la città di Istanbul e i suoi abitanti, “gattare” e “gattari” convinti che i gatti “assorbano le energie negative”, che sappiano curare le ferite dell’animo, che consolino gli ultimi, addirittura che fungano da icone di eleganza per le donne “in una città in cui se sei bella e femminile – spiega una giovane pittrice nel film – senti di doverti giustificare”.
IL BUDGET
Un film-spot della città turca realizzato, rigorosamente, senza finanziamenti statali: “Certo non è un film con il budget de La marcia dei pinguini, ma è un’opera libera realizzata, solo con investimenti privati. E’ ovvio che dieci anni fa, prima del rinascimento dei gattini sul web, non avremmo mai trovato nessuno che volesse mettere soldi in questo progetto. Il che non significa che non sia stato complicato trovare qualcuno che fosse d’accordo con noi sull’evitare di farne un catalogo di gatti online”.
Martedì 22 Maggio 2018
(Fonte Il Messaggero)